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Pd, un sondaggio ha fermato l'intesa tra Bersani e Berlusconi

Giulio Bucchi
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  di Franco Bechis Il filo era già sottile, quasi invisibile. Eppure fino a venerdì sera qualche colomba del Pd e qualcuna del Pdl ancora provavano a tesserlo. Era l'unico canale restato aperto mentre i leader dell'uno e dell'altro fronte sembravano lontani, lontanissimi. Proprio quel pomeriggio, allargando le braccia come se nulla ci fosse più da fare, una colomba di sinistra ha portato a quella dell'altro fronte un foglietto, che chiudeva ogni discorso: era il risultato di un sondaggio riservato che aveva ordinato il presidente del consiglio incaricato, Pierluigi Bersani. «L'ho avuto anche io fra le mani», rivela Augusto Minzolini, che anche da senatore Pdl non ha perso il gusto per la primizia, «e il risultato spiegava molto di quello che sta avvenendo in queste ore: solo il 2% degli elettori di Bersani sono disposti a tollerare una formula di governo che in qualche modo coinvolga il Pdl. È un sondaggio tombale…».   Il filo era già sottile, quasi invisibile. Eppure fino a venerdì sera qualche colomba del Pd e qualcuna del Pdl ancora provavano a tesserlo. Era l'unico canale restato aperto mentre i leader dell'uno e dell'altro fronte sembravano lontani, lontanissimi. Proprio quel pomeriggio, allargando le braccia come se nulla ci fosse più da fare, una colomba di sinistra ha portato a quella dell'altro fronte un foglietto, che chiudeva ogni discorso: era il risultato di un sondaggio riservato che aveva ordinato il presidente del consiglio incaricato, Pierluigi Bersani. «L'ho avuto anche io fra le mani», rivela Augusto Minzolini, che anche da senatore Pdl non ha perso il gusto per la primizia, «e il risultato spiegava molto di quello che sta avvenendo in queste ore: solo il 2% degli elettori di Bersani sono disposti a tollerare una formula di governo che in qualche modo coinvolga il Pdl. È un  sondaggio tombale…».  Infatti ieri è stato il giorno in cui quel tenue filo tessuto dalle colombe dei due fronti si è spezzato forse irrimediabilmente. Da una parte Silvio Berlusconi ha tuonato davanti alla piazza, pur ribadendo che l'Italia ha bisogno di un governo forte, e non escludendo sulla carta la grande coalizione. Dall'altra Bersani da presidente incaricato ha chiuso ogni spiraglio annunciando nel suo programma la presentazione di un disegno di legge sulla incandidabilità e sul conflitto di interesse (una legge contra personam, e la persona è naturalmente quella di Berlusconi), continuando a puntare visibilmente sul salvagente a cinque stelle che finora gli è stato negato. Anche chi nel Pdl - come il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi - non aveva mai chiuso le porte alla grande coalizione, ieri è sembrato arrendersi. Non è più questione di consiglieri più o meno trattativisti, ma è il realismo a guidare ora Berlusconi. Nelle sue mani è arrivato l'ultimo sondaggio che indica la coalizione Pdl in questo momento in testa, e un Movimento 5 stelle che avrebbe perso ben tre punti e mezzo dopo la votazione su Piero Grasso al Senato che ha fatto immaginare il primo e rapidissimo tradimento degli eletti. È un sondaggio che conosce bene anche Beppe Grillo, e che fa immaginare come sulla strada intrapresa da Bersani non ci siano grandi speranze di racimolare i numeri necessari, nonostante le rassicurazioni che il presidente del Consiglio incaricato ha ricevuto dal capo dei senatori Pd, Luigi Zanda.  Se il segretario del Pd anche tirandola in lungo come sta facendo per dare spazio ai suoi pontieri, dovesse tornare da Giorgio Napolitano con un pugno di mosche in mano, lo scioglimento delle Camere diventerebbe l'ipotesi più concreta. Certo, prima di quel passo il presidente della Repubblica cercherà di giocarsi altre carte, e in ogni caso bisognerà eleggere il successore di Napolitano, perché lui non ha il potere di mettere fine immediata a questa legislatura. È su questo passaggio che si stanno aggrappando i consiglieri “colombe” che attorniano il cavaliere, da Giuliano Ferrara a Gianni Letta, che in questo caso sembrano procedere all'unisono. Sono loro a insistere su quel doppio binario lanciato dal Capo dello Stato e imposto a Bersani, che ha dovuto accettarlo: governo da una parte, e riforme istituzionali da fare anche con il Pdl dall'altra. In questo è stato colto il segno di una disponibilità del Pd a trovare un'intesa con il principale partito avversario sulla nomina del prossimo capo dello Stato. Berlusconi a dire il vero ieri ha lasciato poche porte aperte anche su questa carica, rivendicando la presidenza della Repubblica per «un moderato di centrodestra». Le colombe insomma sembrano essere poco ascoltate dal leader Pdl: «Ed è realismo», spiega Minzolini, che spesso è ascoltato dal Cavaliere, «perché non ci sarà alcuna apertura del Pd al Pdl nemmeno sulla elezione del presidente della Repubblica. Avete visto con quale determinazione si sono presi le presidenze delle due Camere e hanno reclamato e ottenuto un incarico a palazzo Chigi? È accaduto per cariche che magari durano solo qualche settimana o mese. E volete che mollino sull'unica carica che certamente durerà 7 anni? Non faranno alcuna trattativa con noi, inutile illudersi». D'altra parte Bersani per eleggere il Capo dello Stato ha due forni possibili senza bisogno di mettersi d'accordo con il Pdl. Il primo forno è quello di una intesa con Grillo (che però dovrebbe prima trovare il modo per fare partire il suo governo). Il secondo forno è quello con Mario Monti: Pd, Sel e scelta civica se fossero uniti avrebbero la maggioranza sia pure di non molto (intorno al 52-53%) dei grandi elettori del presidente della Repubblica. Nel primo caso il candidato di partenza sarebbe Stefano Rodotà, nel secondo Romano Prodi. Ed entrambi sarebbero assai indigesti per Berlusconi. Il Pdl avrebbe una sola carta in mano: proporre la ricandidatura di Napolitano, mettendo in imbarazzo il Pd. Altrimenti sarebbe fuori da ogni gioco. È evidente che a Berlusconi non resta altro che puntare diritto a nuove elezioni prima dell'estate.  

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