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Mughini: il centrodestra esiste anche senza Berlusconi

Giampiero Mughini

La storia politica dei “moderati” può continuare: lo pensano nono solo Montezemolo e Monti ma anche tanti italiani

Eliana Giusto
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Non è che sia appesa a un filo la sorte del moribondo governo presieduto da Enrico Letta. E' appesa a un filo la sorte del nostro Paese. Non io, ma in molti avevano creduto che una cosa sarebbe stata la vicenda giudiziaria ultima di Silvio Berlusconi, se sì o no la Corte di Cassazione avesse confermato la pesante condanna della sentenza d'Appello, tutt'altra vicenda se sì o no sarebbe sopravvissuto un governo di “larghe intese” nato dal dramma e dall'emergenza nazionale. La sentenza è arrivata, a confermare il reato (grave) di frode fiscale di un imputato che di processi a suo carico che stanno per arrivare al capolinea ne ha un altro paio e che non sono quisquilie. La novità è che il Pdl è in subbuglio e in rivolta istituzionale, una rivolta sotto forma di dimissioni collettive dal Governo e dal Parlamento di cui non ci sono precedenti nella storia politica italiana. O Berlusconi libero e innocente, o morte. Questa mi sembra la loro parola d'ordine, il loro annuncio.  “Ci vuole un po' di grazia”, titolava Libero di sabato scorso ed è un bel titolo perché sa di letteratura, e anch'io penso che in questo momento drammatico ci vorrebbe “un po' di grazia” da parte di tutti noi italiani. Tecnicamente parlando invece, la richiesta perentoria di “grazia” rivolta al presidente della Repubblica non ha né capo né coda. Tutto può fare Giorgio Napolitano in questo momento salvo che concedere la grazia al condannato Berlusconi, e senza dire che stanno per arrivare un paio di processi dove ci saranno nuove condanne e dunque nuovi subbugli possibili e nuove ”grazie” da chiedere con tono ultimativo. Ovvio che, per usare le parole di Mario Monti, a me dispiace per la “persona” di Berlusconi; altrettanto ovvio che i libri di storia non lo descriveranno quale “un delinquente” alla maniera in cui titola qualche odierno giornale che deve arraffare cinquemila lettori in più nel mercato degli ultrafanatici per i quali l'odio nei confronti di Berlusconi è come un ossigeno che li fa vivere. Detto questo, e a differenza di quello che scrive il mio amico Maurizio Belpietro, non è certo questo il modo per far valere una “verità politica” talmente contrastante con la “verità giudiziaria”. Anzi, il punto è proprio questo. La maniera migliore di difendere l'onore dei dieci milioni di italiani che hanno votato Berlusconi alle ultime elezioni (e che probabilmente lo voterebbero alle prossime cinquanta elezioni) sta nell'aggrapparsi anima e corpo alla sorte giudiziaria di Berlusconi? Sì o no il respiro di questi dieci milioni di italiani - liberali, moderati, lavoratori autonomi, partite Iva, piccoli e vivaci imprenditori, gente perbene e che non vuole bere le nenie della sinistra, magari degli anticomunisti un po' arrugginiti - va all'unisono con quello della persona/padrone Berlusconi perché altrimenti non c'è respiro, non c'è vita, non c'è identità? Ne sto parlando ovviamente perché - per fortuna di noi tutti - la sorte personale di Berlusconi non è talmente drammatica. A differenza del “prigioniero politico” che fu Antonio Gramsci (mi riferisco al titolo del settimanale “Panorama”), nessuna cella aspetta Berlusconi. Al peggio lo aspettano degli arresti domiciliari. Umilianti sì, ma non un lager. E' la legge italiana, per chi è stato condannato in via definitiva. Mi spiace, lo ripeto. Detto questo il Governo e il Paese sono tutt'altra cosa. Detto questo il futuro e la storia possibile di quella coalizione di centro-destra o come diavolo la volete chiamare, è tutt'altra cosa. Noi italiani non possiamo immaginare per un solo secondo di scaraventarci in una nuova campagna elettorale i cui due schieramenti vadano all'attacco al suono di tromba “Berlusconi delinquente” oppure “Meno male che Silvio c'è”. Non ce lo possiamo permettere, e parte il fatto che Giorgio Napolitano non accetterebbe di essere il presidente di una siffatta nazione.  Eppure è quello che avverrebbe se la prossima settimana il governo Letta va già per i motivi cui ho accennato, perché una delle forze politico-partitiche che lo sostengono si dimette da tutto.  Non è mai successo in nessun Paese. I leader sono caduti, sono cambiati, ma le storie politiche sono continuate. Nella Francia degli anni Sessanta Charles de Gaulle diede un addio alla politica e con tutto questo il gollismo tenne la leadership politica per ancora molti anni. Nella Gran Bretagna recente, Tony Blair s'è tratto indietro quando ha visto la sua immagine politica annebbiarsi ma non per questo è finita la storia del Partito laburista. Nell'Italia degli anni Cinquanta Alcide De Gasperi venne sopraffatto dai suoi rivali di partito, ma la storia vincente della Democrazia Cristiana continuò per ancora trent'anni. Nella Spagna franchista fu addirittura lo stesso Francisco Franco a piantare le radici di una Spagna dove il “franchismo” non la facesse più da dominatore. I leader passano, le storie politiche continuano e durano. Sì o no la storia politica dei “moderati” italiani può continuare anche con un Silvio Berlusconi che faccia un passo indietro? Lo pensa e lo ha detto adesso Luca Cordero di Montezemolo. Di certo lo pensa Mario Monti, che sbagliò alla grande nel non accettare (alcuni mesi fa) l'invito che gli aveva fatto Berlusconi di mettersi lui a capo dei “moderati” italiani. Lo penso io, nel mio piccolo. Sono sicuro che lo pensano in tantissimi, brave persone che saluterebbero come una liberazione la fine dell'antitesi belluina tra antiberlusconiani fanatici e filoberlusconiani totali. di Giampiero Mughini

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