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Pd, Renzi: "A Letta due mani, ma devono farmi segretario. Il governo? Macchè crisi"

Matteo Renzi

Il sindaco di Firenze da Vespa in campagna elettorale: "Berlusconi? Game over. Il Pd contano i burocrati, io sono il cambiamento". E sul governo...

Michele Chicco
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Decadenza, governo e partito. Matteo Renzi, durante la registrazione di Porta a Porta, mette a fuoco la situazione politica e scatta la sua fotografia con la quale rimarca, sottolinea e provoca un Pd che sembra confuso, imbambolato da Berlusconi e dal congresso. Da Bruno Vespa, il sindaco di Firenze passa in rassegna i suoi slogan: dalla rottamazione in giù, fino ad arrivare ad Enrico Letta al quale darebbe volentiere "non una, ma due mani", se solo fosse segretario. Suona di aut aut, ma a pensar male si fa peccato. Decadenza - "Ora è arrivata una sentenza definitiva che ha detto che è colpevole". Non usa mezzi termini, il fiorentino, quando parla del Cavaliere. L'aveva detto a Genova, l'ha ribadito durante le feste dell'Unità e l'ha sottolineato oggi: Berlusconi deve decadere. "Lui la ritiene una sentenza ingiusta, altri pensano che sia sacrosanta. Ma in un qualsiasi Paese dove un leader politico viene condannato, la partita è finita. Game over". Governo - Ma secondo Renzi il fischio finale suona per il senatore e non per l'uomo politico leader del Popolo della Libertà: Renzi è convinto che la crisi di governo non ci sarà "per un migliaio di motivi", anzi lo spera. "Per quale motivo dovrebbe andare in crisi? Questo governo ha appena cominciato...". Con un Paese piegato su se stesso senza soldi nelle tasche, bisgna spiegare "cosa fa di concreto questo esecutivo" e non bisticciare, insomma. E' "l'andreottismo" il tic che affligge, secondo il rottamatore, l'Italia politica eternamente interrogata sulla durata del governo e Letta ha l'occasione buona per superare anche l'ultimo dei retaggi della prima Repubblica. Dimentichi la sua "seggiola", è il consiglio, e pensi alle imprese e ai lavoratori. Partito - Al centro del dibattito della sinistra democratica c'è il congresso di partito. Il caos sulla data ha scaldato gli animi, ma mai come han fatto le polemiche sugli endorsement. "Di chi appoggia chi agli italiani non interessa nulla", dice il sindaco fiorentino che poi cavalca il mantra della rottamazione e invita "chi vuol cambiare davvero" a votare per lui, con buona pace di Massimo D'Alema. Le regole vanno rispettate e se ogni 4 anni è previsto il congresso è giusto che si faccia se, sostiene Renzi, si vuole continuare ad essere insieme “partito e democratico”. La bruciante non-vittoria di febbraio, poi, ha gettato il Pd nel caos e per capovolgere situazione Renzi vuole la poltrona più importante di Largo del Nazareno perché la sua impressione è che nel partito “contino più i burocrati che gli amministratori”. Roba inaccettabile per un amministratore doc come lui. Il rivale storico - L'uomo che gli "ha fatto il culo" durante le primarie per il candidato a Palazzo Chigi Pierluigi Bersani, oggi viene attaccato per come ha guidato il Pd: "E' riuscito quasi a dimezzare gli iscritti, si sono persi 3,5 milioni di voti e ci è toccato di perdere le elezioni. Poi mi spiegate – ha aggiunto Renzi – la differenza tra non vincere e perdere". Si mostra feroce l'ex giovane rottamatore e prova ad accendere anche così la polemica che porta al congresso, facendo cambiare il vento in suo favore.  Bersani è, infatti, il simbolo della disfatta democratica, l'uomo rimasto con il giaguaro in mano: lui, più degli altri, deve combattere l'ex segretario per ricordare a tutti che la rottamazione è roba da renziani. Certo, anche se adesso lo farà con Franceschini e Bassolino. Ma questa è un'altra storia. 

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