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Antonio Ingroia, Filippo Facci: che disastro i giudici in politica. Pensiamo alle inchieste su Contrada e Dell'Utri...

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Andrea Tempestini
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Antonio Ingroia è stato sempre e per sempre “allievo di Paolo Borsellino”, sentendosi obbligato a nominarlo anche se un passante gli chiedeva l'ora. Tirocinante con Giovanni Falcone, per molto tempo si è occupato di mafia con risultati buoni e meno buoni, comunque sempre ben pubblicizzati. Tra i risultati ritenuti buoni (non da tutti) la condanna di Bruno Contrada e di Marcello Dell'Utri, andando poi a impantanarsi nell'inchiesta più sconclusionata e velleitaria del Dopoguerra: quella sulla trattativa Stato-Mafia. È poi divenuto neo-eroe dell'antimafia-piagnens (quella dietrologica, emergenziale, fatta di fiaccolate, cortei luttuosi, parenti imbarazzanti, e appelli, video, urla, pianti, pugni battuti sul petto) e ha cominciato a frequentare più dibattiti e talk show che aule di tribunale: poi a congressi di partiti comunisti, in dibattiti grillini, in vacanza con Travaglio e naturalmente in tv. Da allora è cominciato il più lungo preannuncio di attività politica che si ricordi (dopo quello di Di Pietro, naturalmente) con Ingroia che criticava il Csm, non rispettava le sentenze che lo riguardavano né i giudici che le pronunciavano, faceva sparate personalizzate con ricadute politiche, attribuiva connivenze mafiose a forze votate da mezzo Paese, e implicitamente si proponeva come epigono di Falcone e Borsellino, chiaro. Nel luglio 2012 è stato nominato dall'Onu a capo di un dipartimento di investigazione contro la criminalità organizzata in Guatemala: ma è durata poco. Poi si è candidato premier a capo della sua lista “Rivoluzione Civile”, ma andò malissimo. Allora si lasciò decadere dalla magistratura e accettò un incarico dalla Regione Sicilia. In pratica è scomparso. di Filippo Facci

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