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Pietro Grasso, è già rivolta in Liberi e Uguali: verso la scissione, chi lascia il partito

Andrea Tempestini
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Unire tre forze politiche diverse è di per sé un'impresa. Se poi accade a sinistra, dove il virus della scissione è ontologico, il tutto diventa ancora più complicato. L'ennesima conferma di una antica vocazione al dividersi si vede nell'esperienza di Liberi e Uguali. La lista nata dall'unione degli scissionisti del Pd (Mdp), Sinistra italiana e Possibile, ancora prima di muovere i primi passi in Parlamento, è già segnata da contrasti non piccoli. Si era già visto, a dir il vero, al momento della composizione delle liste, quando tra i tre gruppi dirigenti e i rispettivi leader (Bersani, Fratoianni e Civati) erano volati gli stracci. Poche novità, molte facce vecchie, si era lamentato Civati. E malumori c'erano stati anche tra bersaniani e uomini di Grasso. Poi le liste si sono chiuse e si è voltato pagina. Ma i contrasti non sono venuti meno. Tanto che sono in molti a scommettere che, una volta in Parlamento, la fusione si raffredderà e ciascuno rifarà la propria componente. Ma su cosa stanno litigando? Leggi anche: Raptus D'Alema, bastona l'ex amico Prodi NODI POLITICI Il primo dissidio è politico e divide i fuorisciti del Pd dall'ala più a sinistra, quella di Fratoianni e Civati. Riguarda la strategia per il dopo elezioni. Gli ex Pd sono favorevoli a un eventuale governo del presidente. Una prospettiva che, a sinistra, è vista come fumo negli occhi. Significherebbe, infatti, governare con l'odiato Pd e magari persino con pezzi di centrodestra. Il gruppo dirigente che viene da Sinistra Italiana non accetterebbe mai di essere coinvolto in un governo del genere. Non solo. Fratoianni e Civati sono preoccupati dalla concorrenza della formazione che è nata alla loro a sinistra: Potere al Popolo. Temono voti in uscita verso questa sigla. Di fronte a ragionamenti come quelli dell'ex ministro degli Esteri, molti elettori di sinistra potrebbero essere tentati di votare Potere al popolo e non LeU. L'altro nodo riguarda la leadership di Grasso. «Non funziona», è il ritornello che si sente mormorare. Per carità, è una brava persona. Ma, si dice, non ha la caratura del leader, del trascinatore. Altro che Jeremy Corbin. Anche il programma, continuano i critici, è vago, manca di numeri, di coperture. PIERO E LAURA A rendere il tutto più teso, poi, c'è un terzo nodo: la roulette russa delle candidature. Con questo sistema elettorale nessuno sa chi passerà. A parte i capilista della parte proporzionale, c'è l'incognita dei collegi. E questa incertezza rende complicata la campagna elettorale. In più nessuno sa quanto peseranno nei conti finali le varie componenti. Quanti saranno gli eletti ex Mdp, quanti ex Si e quanti ex Possibile. Oltretutto i sondaggi riservati dicono che il risultato rischia di essere inferiore alle aspettative. Di sicuro inferiore a quel risultato a due cifre di cui D'Alema parlava, ma anche a quel 5% su cui scommettevano i più realisti. E ogni punto in meno, si calcola, significa 3,5 eletti in meno. Il quarto e ultimo nodo riguarda i due presidenti: Piero Grasso e Laura Boldrini. Anche qui il dissidio è politico. O perlomeno nasce come tale perché in politica l'aspetto umano si intreccia sempre. Il dissenso riguarda l'atteggiamento nei confronti del M5S. Grasso non esclude una maggioranza con loro, Boldrini non ne vuole sapere. Anche per un fatto personale. In questi 5 anni i parlamentari del M5S non hanno fatto altro che insultarla e criticarla. Se dentro LeU si discute, nel Pd non regna la pace. Cresce il fronte di chi che vorrebbe un passo indietro di Renzi e un'investitura di Gentiloni. Domenica Veltroni farà un'iniziativa con lui. E ieri si è aggiunto al gruppo Napolitano: «Gentiloni è divenuto punto essenziale di riferimento per il futuro del prossimo e non solo nel breve termine, della governabilità e stabilità politica dell'Italia». di Elisa Calessi

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