Matteo Salvini, ribolle il malcontento all'interno della Lega: gli attacchi di Bossi e Maroni
All'interno della Lega il clima nei confronti di Matteo Salvini è tutt'altro che sereno. Anzi, quella piccola pattuglia di leghisti poco in linea con il segretario del Carroccio da gruppetto che si muoveva in ordine sparso sembra sempre più compatto in attesa di un passo falso del leader, magari subito dopo il risultato delle urne del 4 marzo. A guidare il malcontento leghista non poteva che essere Umberto Bossi, ricandidato dallo stesso Salvini al Senato e tornato agguerritissimo: "Io torno al Senato per fare la battaglia - ha tuonato il Senatur, come riporta il Tempo - per portare a casa le competenze che interessano la Lombardia. Perché Roma non è pronta a elergire, fa orecchie da mercante". Leggi anche: Salvini sfida il Cav, lui lo sfotte: occhio, a chi l'ha paragonato I ribelli della Lega hanno tutte le intenzioni di rimettere in discussione alcune delle scelte simboliche fatte da Salvini negli ultimi tempi. Simboliche per gli altri, perché per i fedelissimi della prima ora la scomparsa della parola "Nord" dal simbolo del partito significa aver abbandonato la battaglia storica dell'indipendenza padana: "È sempre Lega Nord - ha ribadito Bossi - è cambiato solo il simbolo e solo la parola Lega perché vuol prendere voti al Sud". E la prova di una mera manovra elettorale sarebbe nelle carte presentate al ministero dell'Interno, dove è stato depositato il regolamento del partito che riporta ancora Lega Nord. Altro attacco duro è arrivato dall'ex governatore della Lombardia, Roberto Maroni, assente al comizio di piazza Duomo ma presentissimo nel dibattito leghista: "La gloriosa storia della Lega Nord non può finire così". La colpa più grave per Maroni è aver abbandonato il progetto federalista: "La Lega di Salvini ha perso le tracce", ha commentato dopo la firma della pre-intesa sull'autonomia firmata a Roma con il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, e quello dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.