Luigi Di Maio, Renato Farina: con chi proverà a fare il governo il candidato premier grillino
Ci tocca Luigino Di Maio. Magari non lui, forse un altro tizio indicato al Capo dello Stato dalla ditta di Davide Casaleggio. Prepariamo il cucchiaio per tuffarlo in una minestra di girini e ramarri, un po' grillini e un po' antifascisti. Aggiustiamo la bocca per ingoiare l' intruglio così da non stramazzare passando dal disgusto di ieri, a quello persino peggiore di domani. Lo sostiene l' aritmetica, che è una scienza più esatta della politica. Non lo dice l' ideologia, ma - ripetiamolo - un' addizione: tot M5S + tot Pd + tot Leu = 55-60 per cento di seggi e pure di cittadini elettori. A questo dato inesorabile, fornito dal pallottoliere, se ne aggiunge uno esistenziale: ed è il fortissimo istinto di sopravvivenza che darà modo ai parlamentari di accasarsi volentieri nella maggioranza (meglio) o nella opposizione (meglio piuttosto che niente) pur di non andare a casa, in ottemperanza alla grande legge di gravità della democrazia italiana: è più facile uccidere un elefante a sberle che ammazzare col bazooka una legislatura appena nata. Non è mai successo prima. Figuriamoci stavolta, che i nominati sono nominatissimi, paracudatissimi, dunque propensi a non ripetere l' esercizio traumatico di discesa sulla poltrona. Insomma. Le urne - peraltro le più caotiche e disorganizzate della storia dell' Occidente ma forse anche della Papuasia - ci hanno dato ragione, perché questo esito l' abbiamo anticipato, detto e arcidetto ancora pochi giorni fa. Non occorreva una sagacia da Nobel, ma solo una certa reverenza verso il buon senso e una qualche attenzione all' umore popolare, per rendersi conto che era una previsione temeraria e una sfida al ridicolo proclamare la certezza della vittoria, e pure a maggioranza assoluta, del centrodestra. Oltretutto questa sicumera non era certo uno stimolante per convincere i delusi propensi all' astensione a trasferirsi da casa alla cabina: perché tutta 'sta fatica se non c' è bisogno di me? Caramelle per tutti - Ri-insomma. Nessuno ha vinto lo scudetto. Nessuna coalizione o partito ha la maggioranza assoluta né in Parlamento né tantomeno nel Paese. Uno che sta meglio di tutti gli altri però c' è, perché dotato del maggior partito e dei più numerosi gruppi parlamentari; ed è il solo concorrente della famosa competizione tripolare che si sia detto disponibile a far politica, a lanciare cioè ciambelle di salvataggio ad altri partiti così da coinvolgerli in un governo. Leggi anche: Vittorio Feltri: perchè vorrei vedere Luigi Di Maio a Palazzo Chigi Gli altri tetragoni: o noi o nessuno. O noi o si rivota (figuriamoci). Indovinala grillo, si diceva una volta: e Grillo l' ha indovinata. Basta vaffa, caramelle per tutti. Di Maio ha abbassato il ponte levatoio. Ha invitato i cittadini ad entrare nel suo mondo di redditi per tutti senza lavorare. La gente si è accomodata. Ora in questo stesso castello incantato Giggino si è detto propenso ad accettare proposte (e sottinteso: qualche nominativo) di altri. Pietro Grasso è disponibile. Il Pd ala Emiliano, ma non solo, ha già manifestato interesse. Di Maio (anzi Casaleggio) non farà lo schizzinoso. Un movimento di protesta di massa deve arrivare al governo se non vuole sgonfiarsi. Paga dei prezzi. Ci proverà. E - per la legge sopraricordata - ce la farà. In sintesi. Lo ripetiamo per abituarci a pensarlo. L' unico governo possibile, e orribile, è un esecutivo il cui centro astronomico sia il Movimento 5 Stelle e intorno a cui ruotino come satelliti il Partito democratico e Liberi e Uguali. Oppure? Oppure niente. Oppure si rivota, ma è un' ipotesi del terzo tipo, quella dell' impossibilità. Negare l' occasione ai 5 Stelle e poi tornare alle urne equivarrebbe a regalargli la maggioranza assoluta sul serio, per l' evidenza di un pregiudizio anticostituzionale che questa esclusione significherebbe. Scarsa disponibilità - Certo, il medesimo pallottoliere consente, trascurando le biglie rosse, di immaginare un altro tipo di adunanza governativa: centrodestra + grillini. In questo caso però c' è un' altra scienza che si oppone all' aritmetica. Ed è la scarsa disponibilità di Berlusconi a porgere corda e sapone ai suoi boia. Nessuno infatti dubita che essi detestino Renzi, ma il Cavaliere di più. La maggioranza populista che ieri il filosofo del trumpismo Steve Bannon ha definito come possibile, senza Forza Italia non avrebbe i numeri. E non riteniamo che Salvini e Meloni (giuramenti a parte) siano così sciocchi da trasformarsi in ruote di scorta di Di Maio. E le famose larghe intese alla tedesca, cioè Forza Italia e Pd? Non ci sono i numeri (giuramenti anche qui a parte), neppure se arriva l' aiuto di Grasso e D' Alema. Insomma un pasticcio, anzi un timballo con la pasta sfoglia che piace a Di Maio. Di sicuro non rivedremo un governo Gentiloni. La prova di inefficienza pratico-simbolica l' ha data proprio nel volere a colpi di fiducia una legge così idiota. Gentiloni ha imposto di votare in blocco il Rosatellum che include il famoso emendamento Coppola-Boccadutri, voluto demagogicamente per evitare frodi con quell' assurda complicazione di numeri e numeretti da trascrivere e poi da leggere ad alta voce come fosse la Bibbia, con vecchi in coda a maledire. Se è consentita una nota personale: ho fatto l' osservatore elettorale in circa trenta elezioni in Europa Orientale e in Asia. Mai vista una pagliacciata così grottesca. Meglio la Moldavia, dove a chi vota gli timbrano il dorso della mano con inchiostro indelebile, e - salvo tagliarti la mano - non puoi votare due volte. di Renato Farina