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Giulio Tremonti, il retroscena: come hanno bruciato l'ipotesi di proporlo premier, l'ombra di Silvio Berlusconi

Davide Locano
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Alle 17.30, appena si è capito che Luigi Di Maio e i suoi si erano presentati da Sergio Mattarella con un pugno di mosche in mano, lo spread, il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, è sceso, tornando per un po' sotto quota 130. Anche tra gli investitori, qualcuno pensa che sia meglio lasciare vuoto palazzo Chigi che riempirlo di grillini. È stata l'unica buona notizia di ieri. Il resto è farsa, più che tragedia. Si è capito, ad esempio, perché insistono tanto a chiamarlo «governo del cambiamento»: nel giro di ventiquattr'ore ha cambiato premier almeno quattro volte. Leggi anche: Giulio Tremonti, la profezia della sorella: "Lui...me lo disse una maga" Dopo aver bruciato il nome di Giulio Tremonti, colpevole secondo l'inquisizione dei Cinque Stelle di essere stato ministro di Berlusconi, durante la notte Di Maio e Matteo Salvini sembravano aver trovato l'intesa sull'economista Giulio Sapelli. Poteva essere quello giusto: sebbene apprezzato dai leghisti è una figura «terza», non organica a nessuna delle due parti in causa, e le sue idee sono in sintonia con quelle che dovrebbero ispirare il nuovo esecutivo. Soprattutto, i due leader non gli attribuiscono un profilo politico forte e questo è un valore aggiunto, visto che sul premier e i ministri intendono comandare loro. LA ROULETTE Sapelli racconta di essere stato contattato da ambedue i partiti e di aver dato la propria disponibilità, ma resta premier solo per qualche ora, finché dal M5S fanno sapere che non intendono puntare su di lui. Un ex pentastellato, l'eurodeputato Marco Zanni, ora vicino alla Lega, accusa Mattarella: sarebbe stato lui a far fuori Sapelli, a causa delle posizioni «spesso critiche nei confronti dell'attuale "consensus" europeo». Parole che dal Quirinale liquidano come «totalmente prive di fondamento». Più probabile che il nome di Sapelli lo abbia cassato la Casaleggio Associati: magari dopo avere appreso che, a settembre, il professore aveva accusato il movimento fondato da Beppe Grillo di possedere «un evidente dna di matrice neonazista». Dalla roulette gialloverde esce quindi il nome di un altro accademico: Giuseppe Conte, professore di Diritto privato all'università di Firenze. Pugliese di 54 anni, Conte è l'equivalente filo-grillino di Sapelli, con la differenza di essere assai meno noto rispetto a quest'ultimo (ma nell'ottica di Di Maio, come visto, la scarsa caratura politica è un pregio). Ha iniziato a essere conosciuto al grande pubblico nei mesi scorsi, quando il M5S annunciò che lo avrebbe fatto ministro della Pubblica amministrazione. Nemmeno lui, però, è il prescelto: manca l'intesa con il Carroccio. «CAMBIANO I RITI» Di Maio prova a rivendersi l'impasse come il segno di una grande novità: «Stanno cambiando i riti della politica, i temi vengono prima di coloro che ne saranno gli esecutori». La verità, molto più prosaica, è che lui e Salvini non sono riusciti a trovare un'intesa sulla poltrona più importante. Accantonata (per ora) l'ipotesi di un premier esterno, si torna alla casella di partenza: un politico espressione di uno dei due partiti. Ma alla staffetta tra Di Maio e Salvini non credono nemmeno gli interessati, anche perché nessuno vuole fare la figura del fesso che manda avanti l'altro. Su Alessandro Di Battista e Riccardo Fraccaro c'è il «non possumus» della Lega e su Giancarlo Giorgetti pende il veto dei Cinque Stelle. E allora si va avanti così, improvvisando e sperando che dalla estemporaneità nasca qualcosa di durevole. Fin quando Mattarella, il quale prega di non dovere presentare alle Camere un governo tecnico che avrebbe scarsi consensi e vita breve, non ne potrà più, suonerà la campanella e dichiarerà finita la ricreazione. di Fausto Carioti

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