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Lega-M5s, la preferenza dei giudici per i grillini: così possono orientare questo governo

Davide Locano
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Virginia Raggi è stata assolta dall' accusa di falso in atto pubblico per avere detto ai funzionari anti-corruzione della Capitale che la nomina di Renato Marra a capo del Dipartimento del Turismo non le è stata caldamente suggerita dal fratello di questi, Raffaele Marra, ai tempi braccio destro della sindaca, ma è stata partorita direttamente dalla sua testolina. Di conseguenza, non dovrà dimettersi, come le avrebbe imposto il codice etico grillino e le suggeriva caldamente il suo capo, Luigi Di Maio, che non sa più in che modo liberarsi di lei. La Cassazione ha invece respinto il ricorso della Lega contro il sequestro di 49 milioni di euro, stabilito dai giudici che hanno condannato in primo grado l' ex segretario Bossi e l' ex tesoriere Belsito per avere usato per scopi personali una parte dei rimborsi elettorali ottenuti dal Carroccio. Di conseguenza, Salvini avrà delle difficoltà a finanziare l' attività politica del suo partito e per i prossimi ottant' anni ogni dodici mesi dovrà versare allo Stato qualche centinaia di migliaia di euro, fino al raggiungimento della cospicua cifra. Sono due storie giudiziarie diverse, ma se ne può trarre una morale unica: i magistrati, come tutti, hanno le loro preferenze Prima di spiegarvi perché però, consentitemi una divagazione. Nel definire la Raggi una «patata bollita» non abbiamo intenzioni sessiste né vogliamo alludere alla sua vita privata, della quale non ci è mai importato. La precisazione è necessaria in quanto, quando un anno e mezzo fa sintetizzammo con il titolo «Patata bollente» le disgrazie della sindaca, ella ci querelò e fummo attaccati da più parti. Noi volevamo dire che la bella Virginia si stava rivelando una grana per sé, per Roma, per i Cinquestelle e per chiunque le girasse intorno ai tempi. Altri ci lessero un insulto da bassifondi, dove peraltro un' espressione simile non si è mai sentita. Con il titolo di oggi spero di avere meno problemi. Che la Raggi sia politicamente «bollita» è un dato di fatto. I 700mila romani che l' hanno votata, piuttosto che rieleggerla si mozzerebbero le dita; figurarsi gli altri. Quanto alla «patata», va intesa come «patatona» piuttosto che come «patatina», e si riferisce al modo sgraziato, insulso e approssimativo con il quale la sindaca sta amministrando la Capitale, senza capirci un tubero. Torniamo al cuore della faccenda, anche se i magistrati non hanno sbucciato la patata. Siamo sollevati per l' assoluzione di Virginia. Malgrado ella si sforzi quotidianamente di non darlo a vedere, fare il sindaco è un lavoro serio. Il primo cittadino va rispettato, non lo si può disturbare con inchieste per reati minimi. Ha deciso lei la nomina di Renato Marra? Se l' è fatta suggerire dal suo particolare factotum? Cavoli suoi. In questo caso non possiamo dire che contano i risultati, ma che aveva diritto di farlo sì. CONSEGUENZE TROPPO GRANDI Certo, se la Raggi fosse stata condannata, Roma forse sarebbe tornata a respirare, ma al prezzo di una sconfitta per la giustizia, e soprattutto per la politica, perché il Movimento talebano a cui la sindaca appartiene l' avrebbe costretta a mollare per un piccolo incidente, anziché per la sua malagestione. Di Maio ieri ha definito «infimi sciacalli» i giornalisti, perché avrebbero cercato di convincere Cinquestelle a scaricare Virginia. L' uomo dovrebbe rammentare che due anni fa i grillini costrinsero l' assessore Paola Muraro a mollare in quanto accusata di un reato che prevedeva 5.000 euro di multa. La signora lasciò e da allora la città ha accumulato immondizia, fino a esserne sommersa. Questa volta i magistrati hanno avuto pietà, hanno rimediato con la saggezza all' ottusità del codice grillino. Il pm Ielo aveva detto, nel suo atto d' accusa, che la sindaca era stata indotta a mentire perché altrimenti sarebbe stata indagata ed M5S l' avrebbe costretta a dimettersi, e ai giornalisti ha confidato che una condanna ieri avrebbe avuto conseguenze troppo grandi rispetto al peccato contestato. Significa che le toghe hanno ritenuto che non era il caso di far cadere il primo cittadino della capitale per degli sms compromettenti e delle supposte menzogne da liceale. Stappiamo lo champagne con la Raggi, Di Maio e, se c' è, qualche romano rimasto grillino. Vorremmo però che andasse sempre così. Cioè che anche quando c' è la politica di mezzo i magistrati usassero testa e prudenza, mentre a volte ci pare altro. E veniamo alla sentenza sulla Lega. Bossi e Belsito sono stati condannati in primo grado per truffa per come hanno usato una parte dei rimborsi elettorali. Trattasi di qualche centinaio di migliaia di euro, i magistrati però sequestrano tutte le cucuzze, giustificandosi con le scorrettezze attestate nel bilancio del Carroccio. Non ha senso. I 49 milioni sono legati ai voti presi e non ai bilanci, pertanto sono stati incassati legittimamente, a meno che non si voglia accusare i vari ministeri dell' Interno che si sono succeduti negli anni di aver gonfiato i consensi leghisti. Alquanto improbabile. Confiscare quella somma equivale ad azzerare tutti i voti presi dalla Lega negli anni d' oro di Bossi. Se non è un attentato, poco ci manca. In quanto legati alle preferenze, una volta ottenuti poi, il Carroccio era libero di utilizzare i soldi come meglio credeva per ragioni politiche, e le esigenze del segretario rientrano tra queste. SENTENZA NON DEFINITIVA Ma non è finita. Se hanno commesso reato Bossi e Belsito per i loro affari personali, perché sequestrare gli incassi passati, presenti e futuri del Carroccio, che è parte lesa? Andrebbero confiscati solo i soldi della strana coppia. E perché farlo ora, che la condanna dell' ex segretario non è neppure definitiva e può essere ribaltata? La Lega parla di sentenza politica. Noi ci limitiamo a ricordare che il partito ebbe la forza di cacciare il suo fondatore e capo e tutto il suo clan quando divenne evidente che qualcosa non quadrava. Ha fatto pulizia prima della magistratura e di fatto oggi è un soggetto nuovo, nei leader, nei programmi, in gran parte dell' elettorato. Di tutto questo gli ermellini non hanno tenuto conto, mostrando una sensibilità diversa dai loro colleghi del Tribunale penale di Roma. di Pietro Senaldi

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