Matteo Salvini-Sergio Mattarella, la strana alleanza: retroscena, ecco il loro piano per liberarci di Di Maio
La maggioranza dei parlamentari grillini, quelli che Casalino non manda nei talk show e sono stati ritenuti dai capi meno brillanti e adatti al governo perfino dei ministri per sbaglio Toninelli e Grillo, non è eccezionalmente dotata. Però pure loro hanno intuito che l' aria è cambiata nei Palazzi romani e iniziano a temere per il futuro. Non quello del Paese, ma il proprio. Sono terrorizzati all' idea di perdere il posto e non sanno con quali chiodi fissarsi alla cadrega. Con l' elezione hanno vinto alla lotteria e l' alternativa di tornare a non lavorare, per di più senza stipendio, li sgomenta. A preoccuparli, certo, sono le liti quotidiane tra i vicepremier, Di Maio e Salvini, con «ceppe» che volano e «merde» che si respirano, tanto per citare testualmente i due sommi. La svolta più inquietante però non è quella nei rapporti tra M5S e Lega, al minimo indispensabile da settimane, bensì quella nelle relazioni tra il Quirinale e il Viminale. Quanto a comunicazione e fiducia reciproca, il ministro dell' Interno e il presidente della Repubblica erano partiti male. La situazione non poteva che migliorare, ed infatti così è accaduto. Il sorpasso nei sondaggi del Carroccio su M5S ha prodotto crisi di nervi nell' esercito pentastellato. Il capo, Di Maio, non avendo forza propria, ha perso immediatamente autorevolezza. Se prima doveva guardarsi solo dalla coppia di companeros Fico e Di Battista, esiliati uno alla presidenza di Montecitorio e l' altro in Sudamerica, ora bastano un De Falco o una Fattori qualsiasi per fargli ballare i cerchioni. Giggino aveva due punti di forza. Il primo era un buon rapporto personale con Salvini. Ma ora, come dicono dalle sue parti, non è più cosa. Un po' perché i sentimenti di Matteo sono cambiati, molto perché l' accusa che gli fanno i suoi è di essere succube dell' alleato leghista, quindi mantenere le distanze è diventato un obbligo. Il secondo era la determinazione del Colle a non rimandare l' Italia al voto e di tentare in ogni modo, in caso di crisi di governo, di salvare la legislatura facendo partire un esecutivo M5S-Pd. Anche questo ancoraggio tuttavia è saltato. Il capo dello Stato si è convinto che sul suo partito di provenienza non si può contare. Il Pd ha avviato l' ennesima ricerca di se stesso e ci vorranno mesi per capire chi lo guiderà, figurarsi poi quanto per capire dove e come. Ma soprattutto, Mattarella si sarebbe persuaso che i grillini sono una causa persa. Non se ne cava un ragno dal buco. Se salta il tavolo, perfino Salvini, con il resuscitato Berlusconi e qualche responsabile pentastellato, sarebbe meno sgradito di loro. E se l' operazione non riuscisse, o il leader della Lega non vi si prestasse, meglio la disgrazia del voto anticipato e la speranza/rischio di un centrodestra vittorioso piuttosto che il caos attuale. Certo, nel cambio di visione possono aver influito la visita del Cavaliere al Quirinale un paio di settimane fa e i recenti lamenti del mondo imprenditoriale, che spara su M5S e salva la Lega, ma sembra che il parere più autorevole per il presidente sia stato quello del governatore della Bce, Draghi, e dell' amata Europa. Per approfondire leggi anche: Pietro Senaldi, la verità sulla manovra Questo si dice a Roma, e già la casta degli anti-casta grillina comincia a provare nostalgia di quelle mura. Lasciarle anzitempo sarebbe una coltellata proprio come lo sarebbe stato per un Razzi o uno Scilipoti qualsiasi. La sensazione tra i pentastellati, e non solo, è che il pallino sia passato definitivamente nelle mani di Salvini, il quale può decidere se staccare la spina, uccidendo i suoi alleati di coalizione, in panico da secondo mandato, ma non i suoi fedelissimi, certi di riconferma. Per l' intanto il ministro dell' Interno si è preso due settimane di tempo, per tenere l' alleato sulla corda. Ci sono 19 deputati grillini che con una lettera chiedono a Di Maio di bloccare il decreto sicurezza, a inizio dicembre? Matteo replica: bene, allora tutti a casa se non passa e fino a quel momento, tutto bloccato, compreso il decreto corruzione, con l' abolizione della prescrizione, a cui M5S tiene tanto. I CONTI DI MATTEO - I grillini quindi tremano, e per una volta fanno una cosa sensata. Si fanno i conti della serva: su immigrazione, legittima difesa e presto sicurezza, Salvini ha ottenuto quel che voleva e mantenuto le promesse. Le pensioni sono un costo, le tasse non riesce a tagliarle, per lui la legislatura potrebbe benissimo finire qui, tutto sta a trovare un pretesto per dare la colpa a noi. Il leader leghista li rassicura e dice di non pensarci. Intanto stringe patti elettorali con Berlusconi e confida perfino a Tajani di sperare di tornare a lavorare insieme. Tiene gli alleati di coalizione sulle corde, gioca al gatto con il topo. Di Maio e soci sanno bene che la Lega non vuole il reddito di cittadinanza, perché non lo vogliono i suoi elettori e perché è contario ai principi base del partito. In più, sanno anche che i parlamentari del Carroccio, sia al governo che nelle commissioni, sono sfiniti dalla convivenza con le truppe pentastellate, che tecnicamente troppo spesso non sono all' altezza del lavoro che fanno, e che per di più non sono guidate, sono un esercito raccogliticcio senza un generale. Ognuno fa con la propria testa, che talvolta non è delle migliori e più spesso la pensa diversamente dal proprio compagno di partito. Se dipendesse dal numero due leghista, Giorgetti, l' avventura sarebbe già finita da un pezzo. Salvini potrebbe essere tentato dall' ascoltarlo e giocarsi la possibilità di diventare premier. Chi non lo farebbe? L' unica garanzia dei tremolanti grillini è che il leader leghista sa di aver costruito molto e prima di strappare vorrà essere ben sicuro di non bruciarlo e bruciarsi. L' EREDITÀ DEL PD - Insomma, più che in Luigi, i grillini confidano in Matteo, che ieri ha ricevuto la consacrazione dalle colonne di Repubblica. Il direttore Mario Calabresi ha scritto un fondo dove nell' esaltarne l' ascesa lo attacca duramente. È cresciuto sulla paura degli immigrati e ora sale sul terrore che l' elettore moderato ha dei grillini, una paura che sagacemente il leader leghista alimenta lasciando spazio all' alleato e alle sue corbellerie. All' analisi manca però un capitolo: la Lega cresce anche sulla paura che torni a governare la sinistra. Oggi l' Europa ci boccia per le dimensioni del nostro debito e il Pd punta il dito contro il governo. Dovrebbe invece rivolgerlo verso se stesso, visto che negli ultimi cinque anni non ha fatto che aumentarlo. Ma forse questo non c' era bisogno di ricordarlo, perché gli italiani lo sanno benissimo. di Pietro Senaldi