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Matteo Salvini, la lettera al Corriere con cui uccide il M5s: "Non devo essere processato"

Gino Coala
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Matteo Salvini ribadisce in una lettera al Corriere della Sera che ogni decisione presa sul caso Diciotti lo scorso agosto è strettamente legata al suo ruolo di ministro dell'Interno, quindi in linea con l'interesse dello Stato. Il leader della Lega si difende dopo la richiesta di autorizzazione a procedere del Tribunale dei ministri sulla quale si pronuncerà il Senato e che potrebbe valere per lui un processo anche per sequestro di persona, perché "avrei bloccato la procedura di sbarco degli immigrati dalla nave Diciotti. Attenzione - spiega Salvini - non si tratta di potenziale reato commesso da privato cittadino o da leader di partito". Una delle contraddizioni nelle accuse di giudici secondo Salvini è tutta qui: "Mi accusano di aver violato la legge imponendo lo stop allo sbarco, in virtù del mio ruolo di ministro dell'Interno. In altre parole, è una decisione che non sarebbe stata possibile se non avessi rivestito il ruolo di responsabile del Viminale". Leggi anche: Sondaggio, Salvini passa all'incasso: Sea Watch e giudici, la Lega in orbita Di motivi perché i colleghi senatori respingano la richiesta dei giudici ce ne sono, soprattutto legge alla mano, spiega Salvini, come per esempio la legge costituzionale n.1/1989, secondo la quale "il Senato nega l'autorizzazione 'ove reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo". L'avvertimento di Salvini, anche agli alleati grillini che per il momento con Luigi Di Maio si sono già espressi per il via libera al processo, è di valutare l'accertamento di almeno "due requisiti": "La tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o il perseguimento di un preminente interesse pubblico. Il Senato - aggiunge il ministro dell'Interno - non è chiamato a giudicare se esista il cosiddetto fumus persecutionis nei miei confronti dal momento che in questa decisione non vi è nulla di personale. La Giunta prima, e l'Aula poi, sono chiamati a giudicare le azioni di un ministro". Secondo Salvini insomma non ci sono dubbi sull'esistenza dei requisiti per un respingimento della richiesta del Tribunale dei ministri. A maggior ragione poi perché "non c'entra la mia persona - ha aggiunto - Innanzitutto il contrasto all'immigrazione clandestina corrisponde a un preminente interesse pubblico, posto a fondamento di precise disposizioni e riconosciuto dal diritto dell'Unione europea". In più c'è una questione tutta politica, perché Salvini conferma di aver agito "al fine di verificare la possibilità di un'equa ripartizione tra i Paesi dell'Ue degli immigrati a bordo della nave Diciotti". "Non rinnego nulla - ha concluso Salvini - e non fuggo dalle mie responsabilità di ministro. Sono convinto di aver agito sempre nell'interesse superiore del Paese e nel pieno rispetto del mio mandato. Rifarei tutto. E non mollo". Resta il dato politico: Salvini lascia intendere che, nel caso in cui il M5s lo spedisca alla sbarra, il governo non potrà andare avanti. Scacco matto a Di Maio, dunque: se dovesse salvarlo dal processo, gli elettori fuggirebbero dal Movimento. Altrimenti, sarebbe Salvini a fuggire dal governo.

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