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Regionali Sardegna, il M5s perde tre voti su quattro: il flusso che condanna Luigi Di Maio

Matteo Legnani
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Un calvario. Non si può che descrivere così l'andamento dei consensi al M5S dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018. Con il punto più basso proprio alle regionali in Sardegna di ieri, domenica 24 febbraio. I grillini, a spoglio quasi concluso, hanno raccolto meno del 12 per cento. Un tracollo. Una disgrazia, considerato che i pentastellati lo scorso anno avevano raccolto il 42 per cento. Ora, ha un bel dire Luigi Di Maio che 5 anni fa alle regionali sull'isola il suo partito nemmeno c'era. E che per la prima volta, ora, il M5S avrà propri rappresentanti nel Consiglio regionale sardo. Il risultato è una mazzata tremenda. Appena sopra quello di Forza Italia, un partito che molti ormai danno per defunto, virtuale. Quando perdi tre dei quattro voti che avevi un anno prima non c'è legge elettorale o contesto locale che tenga. Leggi anche: Sondaggio-Pagnoncelli, il M5s a un passo dalla fine politica? Anche perché quel 9 per cento e poco più arriva dopo una serie ininterrotta di sconfitte brucianti. Anche volendo trascurare il risultato del M5S alle regionali del Lazio e della Lombardia che si tennero nell'election day del 4 marzo, dove Di Maio e soci ottennero rispettivamente il 27% e il 17% a fronte del 32,7% delle politiche, arrivarono poi le regionali del Molise del 23 aprile 2018, con un 38,5% preso in una Regione dove alle politiche di poco più di un mese prima erano andati ben oltre il 40%. Quindi le regionali del Friuli, dove con l'11,7% i grillini presero addirittura meno di quello che ottennero alle stesse regionali del 2013, e infine l'Abruzzo dove col 19,7% iniziò il processo ai leader (Di Maio e Di Battista). Prima dello sprofondo sardo, coi sondaggi a livello nazionale che danno il Movimento al 22-23% e i cosiddetti "dissidenti" che per la prima volta hanno chiesto pubblicamente la testa di Di Maio.

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