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Alfredo Robledo a Libero, una bomba sulla magistratura: "Perché i giudici mi fanno paura"

Davide Locano
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«Il mondo della giustizia? Oggi con gli occhi del manager lo guardo con maggiore preoccupazione di prima. Intanto perché qui da noi, come ho sempre sostenuto, il processo accusatorio non può funzionare, essendo un modello fatto per il mondo anglosassone, dove vige l' etica protestante che comporta l' assunzione diretta della responsabilità, e dove la percentuale dei processi che giungono a dibattimento varia tra il 5% e il 10%. Noto poi che tra i magistrati vi è sempre maggiore attenzione alla carriera, e sempre più spesso vengono emanate sentenze percepite come non equilibrate, e ricordo a me stesso che l' equilibrio è un requisito che per un magistrato viene ancora prima dell' onestà». Così l'ex Procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, che, nella nuova veste di manager di un' azienda privata, indossata dal mese di gennaio con l' addio alla magistratura e l'ingresso, con la carica di Presidente del Consiglio di amministrazione, nell' Impresa Sangalli, leader italiana nei servizi ambientali, con una presenza in più di 140 comuni e un totale di quasi 1.200 dipendenti, non è certo tenero nei confronti degli ex colleghi. E non solo a causa della sua vicenda personale. Leggi anche: Vittorio Feltri, una proposta estrema per fermare le persecuzioni dei giudici Trasferito nel 2014 dalla Procura di Milano al Tribunale di Torino, in seguito al violento scontro con l'allora Procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati (trasferimento per cui ha fatto ricorso alla CEDU), pur confermato dalla Corte di Cassazione nel ruolo di Procuratore aggiunto nel capoluogo piemontese, Robledo è stato destinato a occuparsi di affari dell' immigrazione e di questioni amministrative. Ha così deciso di lasciare la magistratura due anni prima di raggiungere l' anzianità necessaria per la pensione, confrontandosi con una nuova vita, in un' azienda che solo pochi anni fa è stata coinvolta in un' inchiesta per corruzione. Che effetto le fa questa nuova esperienza? «In realtà questa esperienza è una sorta di completamento della mia vita precedente, perché continuo a lavorare per garantire la legalità, come ho sempre fatto in passato. Sono andato via dalla magistratura perché non ero più nelle condizioni di fare quello che avevo sempre fatto, e restare due anni in una condizione di limbo non fa parte del mio carattere. Nell'ambito di questa decisione, chiacchierando tra amici mi sono arrivate alcune proposte lavorative, tra cui anche quella di fare l'avvocato, che però non mi avrebbe messo a mio agio. Alla fine ho avuto questa proposta e ho pensato che cambiare lavoro e trovarmi di fronte ad altre scelte, altre responsabilità, mi avrebbe fatto bene». Quanto ha pesato sulla sua scelta la storia recente dell' azienda e la vicenda giudiziaria che l'ha interessata? «Se ho accettato la proposta è perché questa società, dopo avere avuto un incidente di percorso, ha avuto la capacità di rialzarsi, rimettersi in moto e fare bene. Questa è una realtà importante che, pur avendo quasi 1.200 dipendenti e 25 centri in tutta Italia, ha mantenuto una struttura familiare. La seconda generazione ha deciso di continuare a lavorare adeguando la società ai criteri di massima legalità: a dicembre hanno ottenuto il rating massimo di legalità, tre stelle, previa interlocuzione con l' Anac. Inoltre, i dipendenti sono rimasti al loro posto anche nei momenti di difficoltà, nonostante alcuni abbiano ricevuto altre offerte, a dimostrazione di un forte attaccamento a un' impresa che rappresenta un esempio positivo per il mondo industriale in un momento in cui la politica sembra obbedire più alle logiche di pancia che a quelle della ragione». Si riferisce in particolare alla legge anticorruzione voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede? «Anche. Ritengo che se un' azienda ha sbagliato è giusto che affronti le conseguenze in sede penale e che debba risarcire il danno, ma se poi decide di voltare pagina e ricostruire le strutture nel segno della legalità, deve poter ripartire ed essere premiata. Il Legislatore deve anche considerare che c' è un mondo del lavoro dietro queste vicende che non ha nessuna responsabilità. I dipendenti e gli operai non hanno nessuna colpa se l' azienda ha commesso degli illeciti, e quindi non vi è ragione perché debbano perdere il lavoro. Peraltro, è interesse dello Stato avere aziende che producano lavoro e profitto nella legalità, pertanto dovrebbe premiare i comportamenti virtuosi. La mia impressione, invece, è che oggi sotto questo profilo si obbedisca più a una logica di pancia, della soddisfazione immediata della folla, come ad esempio ipotizzare l' interdizione dei corrotti a vita, prospettiva contraria ai nostri principi costituzionali sulla funzione rieducativa della pena». Nel settore della gestione dei rifiuti l' illegalità sembra essere un problema enorme. «Il fenomeno dell' ecomafia esiste, ma c' è anche tutta un' imprenditoria normale che non si vede e che rappresenta un po' l' altra faccia della luna. Si tratta di un mondo che ha riflessi enormi sull' economia e che lavora seriamente, confrontandosi quotidianamente con norme e procedure che troppo spesso appesantiscono i costi per le aziende senza risolvere la questione per cui sono nate. Purtroppo scontiamo il fatto che il Paese non abbia una seria politica energetica, che dovrebbe considerare anche il settore dei rifiuti, e che molte questioni che riguardano questo settore vengano affrontate in maniera ideologica, con una divisione manichea tra buoni e cattivi. Ad esempio, c' è tutt' oggi questa eterna lotta tra inceneritori sì o no, e mentre si dibatte si creano un aumento dei costi dello smaltimento e una conseguente paralisi operativa, che finiscono per dare linfa vitale all'illegalità». Per il Movimento 5 Stelle, contrario agli inceneritori, la soluzione è raggiungere il 100% di raccolta differenziata. «È un sogno platoniano. C' è una percentuale importante di rifiuti che non si potrà mai riciclare, ma che si può convertire in prodotto commerciale, creando posti di lavoro. Siamo come a teatro, involontari attori che aspettano Godot, che notoriamente non arriva mai, in attesa perpetua e vana di questo 100% di differenziata. Il risultato è che le attività di smaltimento subiscono un enorme rallentamento, e finiamo per esportare rifiuti in Germania e altrove spendendo una marea di soldi. Non solo. Il decreto "Sbloccaitalia" di renziana memoria, ha consentito di smaltire fuori regione i rifiuti speciali. Poiché gli inceneritori sono pochi e concentrati in Lombardia e in Emilia Romagna, l' aumentata domanda di bruciare i rifiuti provenienti da altre regioni ha fatto lievitare i costi di smaltimento, con l' effetto di sovraccaricare le discariche, che non hanno più ulteriori margini di raccolta. Questo offre alla malavita organizzata l' opportunità di intervenire occupando uno spazio che, invece, dovrebbe essere occupato dalle imprese legali. Una regolazione scientifica, non ideologica, consentirebbe di affrontare il problema curando l' effettiva salute pubblica, toglierebbe l' acqua al bacino della delinquenza e, grazie all' economia circolare, creerebbe risorse ulteriori per tutto il sistema». di Dino Bondivalli

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