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Pd-M5s, i punti dell'inciucio: patrimoniale e riforma della giustizia ultra-manettara

Caterina Spinelli
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L'intesa tra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, rispettivamente leader di Pd e M5s, a Strasburgo ha compiuto un salto di qualità: entrambi hanno votato a favore di Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione europea. Un'intesa da cui è derivata la bufera politica delle ultime ore che sta conducendo, dritti dritti, a una crisi di governo. Il timore, di Matteo Salvini in primis, è che Pd e M5s cerchino di non tornare subito alle urne, dove verrebbero spazzati via, mettendo in piedi con l'ok di Sergio Mattarella un governicchio-horror. Il problema è che i due partiti  sono in sintonia su tanti temi. Molti di più - riferisce Il Giornale - di quelli contenuti nel vero contratto di governo sottoscritto da Di Maio e dal leader della Lega Matteo Salvini. Un asse che sta già pensando a come governare assieme per il prossimo "Conte bis". Dal no all'autonomia, alla battaglia per l'approvazione di una legge sul conflitto d'interesse fino alla crociata contro la Lega indagata per "presunti finanziamenti illeciti". Oltre all'idea mai sepolta di una patrimoniale per sistemare i conti, una riforma della giustizia ultra-manettara e la lotta durissima alla Flat-Tax, ovvero l'unica legge in grado di abbassare davvero il carico fiscale. Leggi anche: Zingaretti ribadisce: "Niente asse con M5s" Nonostante il leader del Pd abbia incontrato i presidenti della Camera, Roberto Fico, e del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Zingaretti continua a smentire i ribaltoni a favore del possibile governo Pd-M5s. Smentite a cui in pochi credono. Il contratto tra i due è tornato alla ribalta con la mozione contro il doppio incarico in Rai a Marcello Foa. Obbligando il presidente Rai a mollare una poltrona. Poi ancora, la cancellazione della prescrizione voluta dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è un vecchio cavallo di battaglia della sinistra. Ma è ora che il Pd e il Movimento stanno puntando al colpo grosso: come detto, sabotare il piano del Carroccio sulla Flat tax a favore di quel salario minimo, proposto da Di Maio e appoggiato subito da Giuliano Pisapia, neoparlamentare del Pd.

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