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Danilo Toninelli, il ritratto di un fallito: subito dopo essere diventato ministro...

Davide Locano
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Una prece per Danilo Toninelli, uomo del giorno nel giorno più sbagliato della sua carriera.Succede così, quando un pover' uomo diventa ministro delle Infrastrutture senza rendersene conto, in anticipo sull' anagrafe e sui necessari tempi tecnici che sottostanno alla formazione di un politico. E Toninelli ieri è finito travolto dall' alta velocità, spianato dal convoglio di governo guidato dallo spericolato e cinico Matteo Salvini, abbandonato dai numeri del Senato e da un destino che già bussa alla porta dello sconfitto con il volto di una probabile mozione di sfiducia ad personam. È andata appunto così: la Lega, pur di non votare con i grillini, ha preferito Emma Bonino la cui mozione è passata con 181 sì, 107 no e un astenuto; idem per quella del Pd (180 sì, 109 contrari e un astenuto) e quelle di Giorgia Meloni e di Forza Italia. Un disastro non si sa se più grave o più serio, di fronte al quale il ministro (in)competente ha chiosato con uno stoicizzante imbarazzo: «Ho votato no, vado avanti sereno». Ma tutti sappiamo che in Italia, almeno da un lustro, la serenità è la moneta bucata dei perdenti ai quali difficilmente verrà concessa la prova d' appello. Leggi anche: Nani in rivolta contro Danilo Toninelli Peccato, perché Toninelli a modo suo fa simpatia e, come sa chi lo conosca un poco, è dotato d' una non trascurabile dose d' autoironia. Il guaio è che prima di ritrovarselo ministro lo conoscevano in pochi e poi il pubblico l' ha soppesato soprattutto per la serie di gaffe inanellate nell' arco di un anno. Dalla celebrazione dell' inesistente tunnel del Brennero fino allo scatto glaciale a "Porta a Porta" con il suo sorriso davanti al plastico del Ponte Morandi precipitato un anno fa a Genova; dai verbi usati al condizionale come fossero diversamente congiuntivi al rovinoso battibeccare quotidiano con i leghisti sulle grandi e piccole opere ancora da cantierare, Toninelli ha finito per incarnare il bersaglio ideale della narrazione salviniana, l' antieroe perfetto da gettare in pasto a un' opinione pubblica bisognosa di un capro espiatorio da mettere alla gogna come quel compagno di classe dell' ultimo banco che ognuno di noi ha bullizzato per almeno mezza giornata nella propria cattiva giovinezza. E questo ragazzino cremasco con gli occhi sempre spalancati, purtroppo per lui, ce l' ha messa tutta per restare nella parte del caratteriale problematico. CANE DA GUARDIA Eppure c' è stato un momento in cui Toninelli sembrava davvero l' uomo di punta del Movimento. Prima delle elezioni del marzo 2018, è stato uno dei cani da guardia televisivi dell' ortodossia grillina. Subito dopo il voto, Luigi Di Maio e Davide Casaleggio hanno affidato a lui, appena eletto al Senato, e a Giulia Grillo atterrata alla Camera, il ruolo di capigruppo nel Parlamento più pazzo del mondo. E loro, il pupo palestrato esperto in sinistri e la secchiona specializzata in Medicina legale e delle assicurazioni, sono comparsi in tutte le conferenze stampa della sfiancante trattativa che avrebbe infine generato il governo nazionalpopulista gialloverde. Entrambi promossi ministri, entrambi finiti ben presto nel tritacarne mediatico-politico come i predestinati a cadere. Tempo pochi mesi, infatti, e la parola "rimpasto" è diventata il secondo nome di Toninelli. Ma lui, impermeabile alle tempeste e alle brutte figure, ha continuato a far finta di niente anche quando ai malintenzionati leghisti si sono aggiunti i confindustriali e addirittura il fuoco amico di Marco Travaglio. SCARICATO DA TUTTI Perché perfino il Fatto quotidiano e consanguineo alle battaglie grilline, a un certo punto, all' indomani del via libera al decreto legge Genova (novembre 2018) suggellato dal ministro attraverso l' esibizione di un pugno chiuso rivolto al cielo con sguardo estatico, lo ha scaricato e punito con un ritratto feroce intitolato nientemeno che "Toninulla, il demone del ministro che lavora 18 ore per fare gaffe". Bisogna però ammettere che il demone, pur scaricato, ha trovato aiuto ai piani alti della Casaleggio e spezzato la manovra interna per sostituirlo. E in effetti il nostro Toninulla anche in quel caso, così come sta facendo oggi e forse continuerà a fare nei secoli dei secoli, ha saputo opporre una resilienza inaspettata. Nessun altro seguace di Grillo ha sopportato deformazioni e urti tanto imponenti quanto incapaci di spazzarlo via definitivamente. Finché appunto sulla sua stupefatta rotaia non è apparso in un baleno il Frecciaverde Salvini, no Tav della prima ora convertito allo sviluppismo cruento, il quale ha lasciato sul terreno un paio d' occhiali rotondi con il nulla intorno. È il sacrificio umano di Toninelli perché Di Maio intenda che anche la sua corsa è finita? di Alessandro Giuli

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