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Giorgetti, Paragone e gli altri due. Nei minuti della crisi, il colloquio riservatissimo nella stanza chiusa

Giulio Bucchi
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Chiamateli "gli ultimi giapponesi gialloverdi", gli irriducibili del governo Lega-M5s. Nei minuti convulsi della crisi, subito dopo che Giuseppe Conte aveva di fatto chiuso a ogni speranza di sopravvivenza dell'esecutivo, retroscenisti e inviati parlamentari non possono non notare quattro senatori, due grillini e due leghisti, appartarsi in una stanzetta nelle immediate vicinanze di Palazzo Madama. Zona off limits per i giornalisti, ma nomi e cognomi dei protagonisti avvistati non possono mentire: stavano ancora cercando di mediare e ricucire. Quei 4 erano gli "sherpa" dei rispettivi partiti: Gianluigi Paragone e Stefano Buffagni per i 5 Stelle, Giancarlo Giorgetti e Nicola Zicchieri per la Lega. Paragone è il più leghista del Movimento e il più fieramente anti-Pd della compagnia. Buffagni è l'unico della cerchia di Di Maio ad essersi esposto con quella frase, "Salvini ha il cellulare acceso? Lo usi e chiami", rimasta lettera morta. Giorgetti, pur favorevole in tempi non sospetti a una rottura coi 5 Stelle, era anche convinto dell'errore di aprire la crisi in questi giorni. Dopo qualche ora da quel colloquio riservatissimo, lo si può affermare con discreta certezza: se la missione era tenere aperta la porta se non a questo governo, perlomeno alla maggioranza Lega-M5s magari per un governo di scopo, quella missione è fallita. 

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