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Alan Friedman e le dimissioni di Giovanni Tria: "Così Sergio Mattarella glielo ha impedito"

Cristina Agostini
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Giovanni Tria era terrorizzato da Luigi Di Maio, lo temeva più di Matteo Salvini e quando il vicepremier grillino varcava le porto di via XX Settembre, il ministro del Tesoro andava a nascondersi. Era così terrorizzato che due volte ha provato a dimettersi ma Sergio Mattarella lo ha fermato. Il retroscena è raccontato in un passaggio del libro di Alan Friedman Questa non è l'Italia, ed. Newton Compton, pubblicato in esclusiva su La Stampa: "A parte qualche occasionale scoppio d'ira: di tanto in tanto diventava nervoso, molto nervoso. Persino esasperato". "'Ho un certo terrore di lui, di Di Maio', ha confessato Tria a un amico un giorno nella primavera del 2019, abbassando la voce mentre chiudeva la porta. 'Parla di cose insensate. Mi chiede di fare cose che io non posso fare!', si è sfogato l' inquilino del Mef", scrive Friedman. "'Ha cercato di dimettersi in almeno due distinte occasioni', racconta l'interlocutore del ministro, 'ma il presidente della Repubblica ha detto di no'. E così è rimasto lì, il punching ball preferito di Di Maio e Salvini, il terminale delle loro pressanti brame in materia di finanza pubblica. Ma, tra i due, era il vicepremier grillino quello che temeva di più", continua il giornalista. Leggi anche: "Il suicidio di massa grillino". Becchi e Rousseau, come fregare il "traditore Grillo" E ancora: "'Talvolta, se sente dire che Di Maio sta arrivando al ministero, cerca di nascondersi o di non farsi trovare in ufficio', ricorda l'amico di Tria con una piccola risata" e "come se non bastasse, dopo la cospicua vittoria ottenuta alle europee, Salvini aveva iniziato a picchiare ancora più duro, terrorizzando il piccolo professore di economia che ormai scompariva dietro l'imponente scrivania di Quintino Sella. Povero Tria! Una vitaccia". Il presidente della Repubblica quindi ha dovuto "dissuaderlo almeno due volte dal rassegnare le dimissioni". Tria "lo sventurato", conclude Friedman, "si sentiva come a bordo del Titanic, mentre il transatlantico correva dritto contro l'iceberg. Tuttavia, nonostante talvolta sembrasse un po' disorientato, se non addirittura in preda alla nausea, il ministro non era un passeggero qualsiasi che se ne andava oziosamente in giro per il ponte: in teoria, era lui che doveva tenere ben saldo il timone (dei conti pubblici)".  

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