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Giorgia Meloni e Matteo Salvini, il "patto della moto" per la spartizione di Palazzo Chigi

Cristina Agostini
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Non si sono incontrati, ma tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni l'intesa - scaramucce sul nome di Mario Draghi a parte - è totale. Al punto che la presidente di Fratelli d'Italia, mentre visita l'Eicma di Milano, l'esposizione internazionale del ciclo e motociclo, risponde così alla domanda se salirebbe su un mezzo pilotato da Matteo Salvini: «Se guida lui, sì. Perché la guida delle due ruote non è proprio il mio forte. Ma, se guida lui, volentieri: mi fido. Salgo sulla moto e un giretto lo facciamo, dritti a Palazzo Chigi». Meloni visita il Salone alla Fiera di Rho la mattina. Salvini il pomeriggio. Un' ulteriore conferma di come l' asse sovranista sulle cui ali il centrodestra sta volando - superando per la prima volta il 50% nella media dei sondaggi - marci nella stessa direzione. Come, appunto, l' attenzione alla kermesse dedicata a ciclo e motociclo, eccellenza italiana. Con la sinistra assente. Del resto, scandirà nel pomeriggio dal palco del Teatro Nuovo, in piazza San Babila, mentre l' Ilva, «la più grande acciaieria d' Europa, rischia di chiudere, il Parlamento si occupa di parole d' odio» con la commissione Segre. Leggi anche: "Parlano di operai con il Rolex al polso". Salvini, lo schiaffo ai sinistri: "Vaffanc***" / Video «SINISTRA COMUNISTA» - Altra spia del patto tra le forze principali della coalizione, è l' appoggio che entrambi danno a Santiago Abascal e alla sua Vox per le elezioni spagnole di oggi. Ma ieri, per Meloni, era soprattutto la giornata nella quale ricordare, come tradizionalmente fa Fratelli d' Italia, il 30esimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Una ricorrenza, dice Giorgia nella manifestazione convocata nel cuore di Milano, che nonostante abbia i crismi del "Giorno della libertà", è trascorsa nel «disinteresse delle istituzioni italiane. Nessuno ha fatto nulla: né le istituzioni, né le scuole. In Italia non si può parlare male del comunismo. E poi i nostalgici saremmo noi. Non accettiamo lezioni di libertà e democrazia da chi sta festeggiano l' uscita dal carcere del condannato per corruzione Lula». Fratelli d' Italia fa le cose in grande. Al Teatro Nuovo riecheggiano le note di The Wall dei Pink Floyd e sullo schermo, prima degli interventi - prendono la parola il sociologo Francesco Alberoni, Giulio Tremonti, al quale FdI ha già offerto la candidatura, e l' eurodeputato Carlo Fidanza, in video ci sono i contributi del cantautore Enrico Ruggeri ed Edoardo Sylos Labini legge un messaggio del filosofo britannico Roger Scruton - proietta le immagini sugli orrori del Muro. Meloni attacca a testa bassa un governo che sta facendo di tutto per «distogliere l' attenzione dalle proprie nefandezze». Nel mirino finisce la manovra con «le tasse col nome inglese» (plastic tax, sugar tax, «vuol dire che ve stanno a frega'», dice in romanesco Meloni), la gestione dell' immigrazione («hanno firmato un accordo con la Germania che ci obbligherà a riprenderci i "dublinanti"») e l' acquiescenza italiana di fronte a Bruxelles, cui «le classi politiche si sono consegnate mani e piedi». «ITALIA VENDUTA» - Insomma, se il Muro di Berlino è caduto, resta da abbattere quello della sinistra, come simbolicamente fanno a Bologna i ragazzi di Gioventù nazionale, che con una spinta fanno cadere un muro con le foto del presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, del sindaco di Bologna, Virginio Merola, e dell' ex premier Romano Prodi. E in serata, su Twitter, la numero uno di FdI ironizza pure sul tweet con il quale il Pd celebra l' avvenimento: «Guardate che voi eravate il Muro». Nel giorno in cui Salvini rivela di aver ricevuto un nuovo proiettile - «non piango. In un Paese civile non dovremmo rischiare nè io nè la Segre» - con Meloni l' unica distanza si registra sul nome di Mario Draghi per la presidenza della Repubblica. Fratelli d' Italia sta raccogliendo le firme per l' elezione diretta del Capo dello Stato. «Il prossimo dovrebbe essere eletto direttamente dai cittadini. E non credo che sceglierebbero Draghi o Prodi». Eppure l' ex governatore della Bce non dispiacerebbe a Salvini, che ha risposto «why not?» a precisa domanda. Replica di Giorgia: «Not in my name». di Tommaso Montesano

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