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Renzi: "Tra due settimane chiarezza sulle sorti del governo"

Andrea Tempestini
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Un vecchio rito. L'assemblea. Attesissima, in questo caso. Si riunisce il Partito democratico. Dunque il governo, incarnato da Enrico Letta. Dunque la segreteria, impersonata da Matteo Renzi. Dunque tutte le altre correnti che frammentano il principale partito del centrosinistra, diviso tra la fedeltà all'esecutivo e pulsioni anti-governiste. Un vecchio rito, quello dell'assemblea, che ricalca vecchi schemi. Le prese di posizioni sono allusive. I leader non parlano in modo esplicito. Anche il sindaco di Firenze, che ci ha abituato alla schiettezza, manda messaggi che devono essere decifrati. Tempo scaduto - Il primo a parlare è stato proprio Renzi, che al solito ha chiesto di "spingere sull'acceleratore", ha ricordato che "il tempo per fare le riforme è scaduto". Quindi ha avvertito: "Se si andasse alle elezioni con l'Italicum e l'alleanza Berlusconi-Bossi-Casini ci battesse, allora vuol dire che il problema siamo noi". Poi una frase sibillina: "Il giudizio sul governo e sui ministri spetta innanzitutto al presidente del Consiglio. Se ritiene che le cose vanno bene, vada avanti. Se ritiene che ci siano dei cambiamenti da apporre, affronti il problema". Una frase, quella del segretario, che in molti hanno interpretato come una spinta sul pedale del rimpasto. Enrico e Matteo - Ma sul tavolo di Palazzo Chigi e del Nazareno non ci sono soltanto le figurine con cui ritoccare l'album di governo. Non solo rimpasto, insomma. In ballo potrebbe esserci anche la poltrona più alta, proprio quella di Palazzo Chigi. Le voci su una repentina ascesa di Renzi, senza nemmeno passare per le urne, si fanno sempre più insistenti. Sulla stampa, in Parlamento, fuori e dentro al Pd. Letta in assemblea avverte: "Non è possibile galleggiare, tutto voglio tranne che questo". Dunque "quello che succederà alla Camera la prossima settimana sarà determinante". La prossima settimana, in aula, arriverà la riforma elettorale. "Se ce la facciamo - conclude - il Pd diventa protagonista della storia del nostro Paese". Il Pd cuperliano - E se non ce la fanno? Se la riforma elettorale evaporerà, le conseguenze per il governo potrebbe essere definitive. L'esecutivo potrebbe passare in archivio. Una circostanza che ha ben presente anche Gianni Cuperlo, l'ex presidente dell'assemblea democratica, dimissionario in polemica con Renzi. "Abbiamo due strade - spiega al suo partito -. Una vera ripartenza del governo, non un rimpasto, per saldare un accordo programmatico con un nuovo profilo e prestigio del governo". La seconda strada? "Se non ci sono le condizioni per un patto, si discuta e si scelga un'atlernativa. C'è chi dice 'elezioni'. Ma c'è anche un'altra ipotesi: se è così, il segretario del partito faccia una proposta". Frasi, quelle di Cuperlo, che vanno tradotte, ma che in seconda analisi risultano di una chiarezza lampante: l'alternativa a un Letta-bis ("il rimpasto non basta") è l'immediata ascesa di Renzi a Palazzo Chigi ("il premier faccia una proposta"). Un ribaltamento, quello del Pd cuperliano, che può avere più interpretazioni. Si tratta di una resa allo strapotere del segretario? Oppure i "democrat" ortodossi lo vogliono spingere al governo per bruciarlo? Oppure ancora credono sia l'unica carta da giocare per evitare il voto subito, dove stando ai sondaggi il Cavaliere rischierebbe di spuntarla ancora? Il cerchio - Parole. Frasi. Ipotesi. Scenari. Suggestioni. Ma al termine dell'Assemblea, esercitata per intero l'arte della retorica democratica, riprende la parola Renzi, quasi a chiudere il cerchio. Un secondo intervento, sempre allusivo, ma più chiaro. Matteo risponde a Cuperlo e spiega che, a suo parere, la discussione sulle sorti dell'esecutivo non è il tema del giorno: "La discussione sul governo deve partire dal governo". Un concetto che, di fatto, aveva già espresso poche ore prima. "Il Pd - aggiunge - è sempre stato serio nel rapporto con il governo". Poi il segretario mette dei paletti, fissa delle scadenze, delle condizioni: "Io sto allo schema che ci ha posto Letta ad aprile. Ha parlato di un percorso di 18 mesi che comprende uscita dalla crisi e pacchetto di riforme. Io sto su quello schema lì. Dieci mesi, ne mancano otto".  Il bivio - Eppure le scadenze potrebbero essere molto più brevi, quasi immediate. Renzi prosegue, e apre le porte a una soluzione differente: "Vogliamo cambiare schema - chiede all'assemblea del Pd -? Non ho nessun problema a convocare una direzione ad hoc. La proposta che vi faccio è questa: se vogliamo giocare con un altro schema o confermare l'attuale, o dire che il mio schema non va bene e si va a votare, credo sia opportuno che si possa inserire nella direzione del 20 febbraio il tema della chiarezza su cosa pensa il Pd del governo". Giusto due settimane di tempo prima di fare "chiarezza" sull'esecutivo. Giusto il tempo di vedere che cosa accadrà con la riforma elettorale. Se all'esecutivo non resterà più neppure l'appiglio dell'Italicum, il 20 febbraio Renzi è pronto a far saltare il banco. A quel punto, questo il sottotesto del suo messaggio, scioglierà ogni riserva. Potrebbe prendere il posto di Letta, subito. Oppure la strada potrebbe essere quella che porterà il Paese al voto anticipato. di Andrea Tempestini @antempestini

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