Chissà che Matteo Renzi non si sia pentito di avere tanto insistito perché Gianni Cuperlo accettasse il ruolo di presidente del Pd. Ieri, infatti, l’ex sfidante alle primarie, appena alla seconda riunione della direzione nazionale, già si è fatto portavoce della fronda, usando accenti forti contro il segretario. «Dobbiamo comprendere lo smarrimento di una parte dei nostri iscritti», ha detto, intervenendo per secondo, appena conclusa la relazione del leader. L’accelerazione impressa dal sindaco di Firenze sulla legge elettorale e l’accordo raggiunto con Silvio Berlusconi sul modello, ribattezzato «Italicum», ha infatti fornito alla minoranza piddina la possibilità di ricompattarsi. Dietro al dalemiano Cuperlo, ci sono anche bersaniani come l’ex viceministro Stefano Fassina, Cesare Damiano, e pure gli ex popolari di Giuseppe Fioroni. Critici anche i prodiani come Sandra Zampa e con loro, stavolta, c’è anche l’ex presidente del Senato, già candidato alla Presidenza della Repubblica, Franco Marini. Si sono sfilati - in extremis - soltanto i Giovani Turchi di Matteo Orfini e Andrea Orlando. I «nemici» interni del segretario sono pochi dentro la direzione, ma possono contare su una maggioranza larga nei gruppi parlamentari. Senza di loro, c’è il rischio che le riforme restino sulla carta. Le osservazioni della minoranza riguardano il merito della legge elettorale e la scelta di ricevere il Cavaliere al Nazareno ma, innanzitutto, sono finalizzate a perdere tempo. «Abbiamo il dovere di consultare gli iscritti», dice, infatti, l’ex candidato segretario. Che attacca frontalmente il sindaco: «Ho sentito dire: “Tacciano quelli che con Berlusconi sono stati al governo”. Quella era una situazione di necessità e sono stati tutti d’accordo, al punto che l’attuale segretario si era detto disposto a presiedere quel governo», ha ricordato malignamente. Renzi, in effetti, fu considerato l’alternativa a Enrico Letta per la guida del governo delle larghe intese. «L’obiettivo delle riforme è di tutti, ma sul merito dobbiamo discutere ancora», ha aggiunto Cuperlo. Il mantra degli oppositori del segretario è: «Non spacchi il partito». Qualcuno addirittura sostiene che molti di loro sarebbero pronti ad uscire, a fare una scissione. Marini ha chiesto la parola dopo mesi di silenzio. Dice di avere «forti dubbi» sulla soglia del 35% fissata da Fi e Pd come minima per rendere inutile il secondo turno e lancia un appello. «Abbiamo bisogno di unità: cerchiamo di non mettere ancora più in difficoltà il partito». Promette battaglia «incisiva» Damiano: «Il doppio turno non è risolutivo. Liste bloccate? No; grazie». Stessi toni da Sandra Zampa, ex portavoce del Professore: «Quando ci si trova in una trattativa da chiudere a ogni costo, il rischio è prendere quello che ci viene offerto». Il segretario strappa il sì della direzione con sole 34 astensioni su 145, ha «pieno mandato» a trattare con Fi. E non si risparmia una critica caustica al presidente Pd: «Non accetto critiche sulle preferenze da chi non ha fatto le parlamentarie perché era nel listino. Le accetto da Fassina che ha preso 12mila voti, ma da Cuperlo...». Tanto basta per irritare il capo della minoranza che lascia la riunione e a scatenare i suoi. Fassina soffia sul fuoco: «A questo punto Cuperlo si deve dimettere». Pare che il presidente ci stia pensando sul serio. Il round è finito, i pensieri sono già rivolti al secondo, al Senato. Lì la maggioranza Fi e Pd è già risicata e Renzi controlla solo 25 eletti su 108. di Paolo Emilio Russo