"Lo stato di tensione fra magistratura e politica non accenna a spegnersi e il suo persistere, più che una nota dolente, rappresenta una vera e propria spina nel cuore per noi magistrati". E’ un passo della relazione con cui il primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, ha aperto l'anno giudiziario. "Il risvolto più doloroso di questa tensione è una delegittimazione gratuita e faziosa che ha provocato, goccia dopo goccia, una progressiva sfiducia nell’operato dei giudici e nel controllo di legalità che a essi è demandato" ha proseguito Santacroce. II presidente mette a tema il conflitto tra toghe e politica, sostiene che non c'è alcuna ingerenza. Certo è singolare che, come scrive Maurizio Belpietro su Libero in edicola oggi venerdì 24 maggio, che non appena Silvio risorge i pm corrono a seppellirlo. "E' fisiologico - ha proseguito Santacroce - che, posta di fronte al reiterarsi di attacchi speciosi, la magistratura reagisca con una chiusura difensiva. Ma noi dobbiamo andare avanti e domandarci che cosa dobbiamo fare per accrescere il prestigio della magistratura e la credibilità del suo operato, senza alimentare diffidenze, pessimismi, sospetti". Per il primo presidente della Cassazione "dobbiamo avere il coraggio di interrogarci su ciò che non ha funzionato e continua a non funzionare nell’esercizio del potere diffuso, nel sistema di autogoverno e nell’associazionismo giudiziario che pure, nella loro essenza, costituiscono esperienze feconde, positivamente apprezzate anche fuori dal nostro Paese". Anche il pg Gianfranco Ciani si è soffermato sui rapporti tra toghe e politica per ribadire che "la magistratura non persegue finalità politiche", pur ammettendo "che possano esserci stati errori". Ciani ha stigmatizzato l’esposizione mediatica che colpisce certi magistrati che devono invece agire nel più rigoroso riserbo. Carceri - Per quanto riguarda il sovraffollamento delle carceri, secondo Santacroce, bisognerebbe adottare "un rimedio straordinario che consenta di ridurre con immediatezza il numero dei detenuti. Per ottenere questo risultato non c'è altra via che l’indulto". "L'indulto non libera chi merita di essere liberato - spiega il presidente della Cassazione- ma scarcera chi non merita di stare in carcere ed essere tratto in modo inumano e degradante, reagendo temporaneamente ed efficacemente al problema del sovraffollamento". "E' necessario restringere l’area delle sanzioni detentive e contenere il ricorso alla custodia cautelare, acquisendo una maggiore consapevolezza critica della sua funzione di extrema ratio, da utilizzare entro i confini più ridotti possibili". Il ministro Anna Maria Cancellieri, dal canto suo, ha posto l’attenzione su quelle misure che hanno determinato una riduzione di detenuti nelle carceri, passati alla data del 21 gennaio da 61.619 unità, a fronte delle quasi 70mila raggiunte nel 2010". L’obiettivo è "dare un senso alla sanzione e restituire la dignità alle persone detenute è un dovere giuridico e morale. Reato di tortura - Santacroce bacchetta poi l'Italia che continua a essere inadempiente rispetto agli obblighi assunti nei confronti dell’Unione europea. Lo prova il fatto che è il Paese "contro il quale è stato avviato il maggior numero di procedure di infrazione". Per il primo presidente della Cassazione, "l'Italia resta fra i nove sorvegliati speciali oggetto del rapporto sulla giustizia". Tra i tanti inadempimenti lamentati, la mancata introduzione del reato di tortura: "A distanza di 25 anni non è stato fatto nulla, sicchè gli atti di tortura che anche in Italia si commettono vanno inevitabilmente in prescrizione, perchè manca una legge che la punisca come tale, fissando pene adeguate alla sua gravità". Per Santacroce altra inadempienza è rappresentata dalla mancata revisione della disciplina della contumacia. Michele Vietti, vicepresidente del Csm, ha elogiato i magistrati, "che tutta Europa ci invidia. A queste donne e a questi uomini, sottoposti a pressioni personali e collettive enormi va la nostra riconoscenza e il nostro ringraziamento", fermo restando che il magistrato non deve perdere il 'filo di Ariannà della professionalità che, sola, può dargli l’autorevolezza necessaria all’esercizio della sua delicata funzione".
