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Pietro Senaldi, Conte e il bis di Mattarella al Quirinale: "Il premier promette, ma non ha un esercito dietro di lui"

Pietro Senaldi
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Più di vent' anni fa, a Striscia la Notizia, da sempre il telegiornale più serio d'Italia, il comico Emilio Solfrizzi interpretava un personaggio mitologico, Lino Linguetta, giornalista guarda caso pugliese, che malgrado le lacune professionali faceva carriera mettendosi a pecora davanti al potere e profondendo saliva a litri. L'immagine mi è riemersa dall'inconscio ieri, quando ho visto l'intervista rilasciata da Giuseppe Conte ad Antonio Padellaro e Peter Gomez alla festa del Fatto Quotidiano. Solo che i ruoli erano invertiti. Quelli seri erano i pennivendoli, mentre il premier recitava la parte del venditore di tappeti. Il presidente del Consiglio, un po' troppo rilassato nel confessarsi al proprio organ-house è stato comico. Prima, dopo essersi vantato di avere un sistema di monitoraggio infallibile, ha sbagliato di centomila unità il conto delle vittime del virus, dichiarando 135mila morti anziché 35mila. Lapsus, che però Conte ha difeso insistentemente, malgrado la coppia di amici tentasse di correggerlo, tanto da far pensare che il suo non fosse un bilancio bensì una previsione. Poi, quando gli è stato garbatamente fatto notare che i verbali desegretati delle riunioni del Comitato Scientifico durante la pandemia dimostravano che aveva raccontato qualche panzana di troppo, il premier ha dichiarato giulivo di non aver mai riletto le parole che, a reti unificate, dispensava al popolo, da lui chiuso in casa e terrorizzato. Infine l'avvocato si è assolto con formula piena per quanto riguarda il nuovo aumento dei contagi: «Non abbiamo riaperto noi le discoteche, sono state le Regioni a farlo, non l'esecutivo» ha sentenziato, come se fosse un turista di passaggio e non avesse prolungato lo stato d'emergenza per continuare a mantenere pieni poteri e decidere tutto.


 

Sulla politica -  Perfino peggio è andata quando Conte è passato a riflessioni di stampo più prettamente politico. Ubriaco di potere, prima l'indomito pugliese ha provato a dribblare l'ombra di Mario Draghi, sostenendo che il governatore non è un rivale ma un potenziale collaboratore, tanto che lui avrebbe perfino provato a trovargli un lavoro, da presidente della Commissione Ue. Forse solo chi va a una festa del Fatto Quotidiano può credere che l'ex presidente della Banca Centrale Europea abbia bisogno del professore di Volturara Appula per piazzarsi, o che la Merkel e Macron diano retta a Giuseppe quando si tratta di assegnare una poltrona che conta. Poi ha sostenuto che non è lui che non vuol dialogare con l'opposizione, bensì Salvini che non gli risponde al telefono, a differenza di Meloni e Berlusconi, che gli parlano ma non vengono ugualmente ascoltati, come peraltro neppure il presidente degli industriali, Bonomi. Infine, il premier ha promesso a Mattarella la rielezione al Quirinale, purché egli lo mantenga in sella anche qualora la maggioranza giallorossa si dissolvesse all'indomani di una disfatta alle elezioni Regionali. Il capo dello Stato, intervenendo al Forum economico internazionale Ambrosetti, era stato durissimo nei confronti del governo, accusando senza mezzi termini il premier di essere ansiogeno. Ecco cosa pensa il presidente del lavoro di Conte è compagni: «I cittadini vivono con incertezza e ansia questo momento. Il processo di approvazione del Recovery Fund deve proseguire con la più grande rapidità per rendere le risorse disponibili fin dall'inizio del 2021. Bisogna approntare velocemente piani nazionali di rilancio perché non si può fare dell'Unione Europea una mera casella delle lettere per le istanze di trasferimento di fondi». In parole meno felpate, il Colle ha invitato il governo e chi lo guida a darsi una sveglia, perché gli italiani non ne possono più, non si capisce in che direzione si marci e la sensazione è che il governo sia ancora al giorno zero quanto ai piani di ripartenza economica.



 

Trattati europei - Con ottimismo irrealistico, Mattarella ha poi invitato l'esecutivo «ad aprire la strada alla revisione dei Trattati europei, che da troppo tempo rappresenta un vero tabù per molte cancellerie europee». E qui, se si pensa che il Quirinale gli chiede di fare da ariete per rivoluzionare l'Europa, Conte può arrivare perfino a suscitare tenerezza. Qualsiasi altra persona che si fosse sentita strapazzare in questo modo dal capo dello Stato, si sarebbe sotterrata. Ma non il professor Giuseppe che, dopo esser passato in una notte da Salvini a Zingaretti, sa scivolare sul fango con l'abilità di un surfista. «Mattarella sta interpretando il proprio ruolo con grande equilibrio e saggezza, vedrei benissimo un suo secondo mandato, se lo accettasse», ha replicato Conte senza scompigliarsi il ciuffo. Il premier ha fatto una preghiera e una promessa al presidente: tienimi in piedi anche se M5S e Pd mi mollano, rinuncia alla tentazione di governi tecnici e io ti ripagherò con la riconferma. Un baratto degno di un mercante da suk, che tratta la Costituzione come un foglietto d'appunti e millanta di poter muovere il Parlamento senza avere neppure un deputato. D'altronde, per uno che è diventato avvocato di fama senza essere conosciuto, professore universitario praticamente senza pubblicazioni e premier senza voti, cosa volete che sia nominare un presidente della Repubblica senza avere un partito e delle truppe?

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