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Alessandro Di Battista, la scissione M5s e Giuseppe Conte all'angolo: i responsabili non arrivano certo "gratis"

Fausto Carioti
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«Scissione» è una parola grossa. Evoca personaggi come Antonio Gramsci e Giuseppe Saragat, presuppone due schieramenti di commilitoni che la Storia ha portato su fronti opposti nella grande battaglia delle idee. Nulla di questo sta accadendo nel movimento Cinque Stelle, dove i personaggi con la statura politica più alta sono il poltronaro Luigi Di Maio e l'amico degli ayatollah Alessandro Di Battista, di grandi idee non c'è ombra (bisognerebbe aver letto qualcosa, per averne) e nemmeno si vedono due eserciti schierati, ma solo panico e paura di perdere cariche ed emolumenti. Decomposizione, più che scissione. Sta venendo giù tutto insieme, il castello di fuffa e rancore costruito negli anni da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Ieri si è staccato uno dei pezzi più importanti.

 

La piattaforma Rousseau, che fa capo a Davide Casaleggio, figlio del fondatore, nata per essere l'embrione della meravigliosa democrazia digitale che tutti ci attende, ha avviato il divorzio dal M5S. Nessun conflitto ideologico o «programmatico»: è una banale questione di soldi. Rousseau è finanziata dai parlamentari grillini con un contributo mensile di 300 euro. Meccanismo che nei cinque anni di questa legislatura avrebbe dovuto rendere al ragazzo la bellezza di 5,9 milioni. In cambio, Casaleggio Jr fornisce «servizi» come la gestione delle liste elettorali e l'organizzazione di eventi politici. Lo fa senza alcuna trasparenza, tanto nell'uso dei soldi come in quello dei bit che decretano chi vince e chi perde dentro la setta. I regolamenti stabiliscono che chi non finanzia Rousseau commette una «grave violazione», meritevole di sanzioni che comprendono l'espulsione. Impegni sottoscritti prima di candidarsi, che gli eletti grillini, però, ora non vogliono più rispettare. Per essere in regola dovrebbero aver versato tutte le "rate" sino a quella di luglio, ma ad averlo fatto, su 293 parlamentari rimasti, sono stati appena 101.

 

È la rivolta contro Casaleggio, utile pure a rimpinguare le tasche di chi ha capito che la rielezione se la può sognare. Il capo di Rousseau ha risposto annunciando un drastico taglio dei servizi tramite una lettera aperta al blog del movimento: «Con enorme dispiacere siamo costretti a comunicare...». Niente gestione delle liste per le elezioni comunali del 2021, sospeso il fondo per la tutela legale di attivisti e consiglieri, rimandato a data ignota il grande evento del Villaggio Rousseau e così via. Nulla che susciti la disperazione dei parlamentari del M5S, molti dei quali vedono questo strappo come una liberazione. Vito Crimi (moroso da maggio) è paralizzato: se fa il capo e impone il rispetto delle regole, espelle i ribelli e fa saltare il governo; se resta inerte, l'anarchia si divora il movimento.

Assieme al figlio di Gianroberto si prepara ad andarsene Di Battista, suo principale alleato. Lo sfogo nel quale ha detto «qui facciamo la fine dell'Udeur» non gli è stato perdonato da chi accetta di ingoiare qualunque cosa pur di tirare avanti sino al termine della legislatura. La base e gran parte degli eletti lo insultano chiamandolo «disfattista» e «peggio di Salvini». In pubblico lo hanno difeso solo la senatrice Barbara Lezzi e l'europarlamentare Ignazio Corrao, ma nella palude grillina ce ne sono altri che potrebbero seguirlo, se solo sapessero dove intende portarli. Giuseppe Conte lo osserva preoccupato. In Senato la maggioranza è tale per pochissimi voti, presto potrebbe rivelarsi vitale l'aiuto di qualche "responsabile" di centrodestra, che certo non si concederà gratis.

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