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Attilio Fontana ancora nel mirino, sequestrato il telefono senza motivo: "Un'acquisizione anomala"

Fabio Rubini
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 Per il ministero della Salute il comportamento dell'Irccs San Matteo di Pavia nei confronti della Diasorin circa la validazione dei test sierologici è stato legittimo. Le parole scritte nel parere richiesto dal Consiglio di Stato non lasciano dubbi ad interpretazioni: «Nel caso in cui la ricerca avvenga su iniziativa del privato, così come è avvenuto con l'accordo tra fondazione Irccs San Matteo di Pavia e Diasorin Spa (...), non si procede con l'evidenza pubblica». Cioè non serviva fare una gara e quindi il comportamento del San Matteo (e di riflesso di Regione Lombardia) è stato legittimo. Tanto che nel documento del ministero si spiega che a queste conclusioni si è arrivati anche analizzando «plurimi e simili contratti tra Irccs, come lo Spallanzani di Roma, e le case farmaceutiche». La vicenda è nota, ma "antica" e merita un breve riassunto. Siamo a marzo 2020, nel pieno della prima ondata pandemica. In tutto il mondo si cercano soluzioni per tracciare il virus e al San Matteo di Pavia arriva la richiesta della Diasorin (azienda farmaceutica piemontese) per validare i test che privatamente aveva sviluppato. Una prestazione che, come ricordato dal ministero, rientra pienamente nelle prerogative delle Irccs (ovvero Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), che hanno proprio la ricerca e la sperimentazione alla base del loro lavoro.

 

 

Una volta siglato l'accordo, però, un'azienda concorrente, la Technogenetics, presenta un esposto al Tar Lombardia contestando l'accordo diretto, e senza gara, con Diasoris. Un esposto accolto dal Tribunale amministrativo che sospende il contratto. A luglio, però, il Consiglio di Stato ribalta la situazione, riattiva il contratto tra San Matteo e Diasorin e prima di emettere una sentenza, chiede al ministero della Salute un parere sulla vicenda. Quello stesso parere arrivato nella serata di martedì che da pienamente ragione al Policlinico pavese. Ora, in un caso normale questa notizia avrebbe solamente un rilievo giudiziario, visto che sulla vicenda sono state aperte due inchieste dalle Procura di Pavia e Milano (l'udienza preliminare è fissata per il 10 dicembre), con l'impianto accusatorio che si basa proprio sulla presunta illiceità (smentita dal ministero) dell'accordo. Questo però non è un normale caso giudiziario, visto che si è subito trasformato in caso politico per una serie di situazioni contingenti. A partire da quella anomala acquisizione di dati sensibili sui telefonini del governatore Attilio Fontana, della sua capo segreteria Giulia Martinelli e dell'assessore al Welfare Giulio Gallera, che ancora oggi non risultano indagati. Un'operazione che, alla luce del parere del ministero, potrebbe essere stata superflua e sui cui contorni di incostituzionalità (ricorderete che dai telefonini vennero copiati tutti i dati, anche quelli privati e non inerenti all'inchiesta) ancora si discute.

Poi c'è la vicenda legata al Pd lombardo. Subito dopo lo scoppio di questo "caso" i dem che siedono al Pirellone scatenarono una guerra mediatica violentissima, arrivando addirittura a chiedere il commissariamento di Regione Lombardia e a presentare una (delle tante) mozioni di sfiducia. Un'iniziativa che creò un clima infuocato, con gruppi estremisti di sinistra scesi in piazza al grido di "Fontana assassino". Bene, il giudizio del Ministero della Salute, retto da Roberto Speranza (non certo un pericoloso populista di destra), suona come un sonoro schiaffone in faccia a quegli esponenti del Pd lombardo che, ancora oggi, nel disperato tentativo di far cadere la giunta Fontana e mettere le mani sulla Lombardia, continuano imperterriti in una campagna giornaliera di disinformazione degna della peggiore Unione Sovietica. Non è un caso che all'uscita della notizia del parere del ministero, nessun esponente del Pd lombardo abbia emesso un fiato. Figuriamoci chiedere scusa. r

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