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Forza Italia, "l'ultimo scranno della carriera": perché i peones sostengono le mosse di Berlusconi e Gianni Letta

Francesco Specchia
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C'è evidentemente un motivo, se Forza Italia cresce nei sondaggi dello 0,3% e si porta al 7,1%, mai accaduto negli ultimi tempi di magra. C'è ovviamente una strategia, nella spiazzante dichiarazione d'amor politico del berlusconianissimo Renato Brunetta nei confronti di Luigi Di Maio. C'è tutto tranne che follia (non c'è mai follia, parlando di Silvio), insomma, nel progressivo e "responsabile" avvicinamento dei forzisti al Movimento 5 Stelle e a Conte. Chez Gianni Letta, tornato ad essere il Talleyrand del Capo, Silvio Berlusconi ha accelerato la politica d'emergenza del Premier e ha costretto, in pratica, Lega e Fdi ad accordarsi sul "sì" nello scostamento di bilancio.

Lo ha fatto con la naturalezza del funambolo, prospettando all'orizzonte perfino l'idea di poter essere "stampella che non diventi la gamba di un governo di unità nazionale" richiesto dalla crisi economica, salvo poi accingendosi a negarlo. Per inciso, il suddetto comportamento "rispettoso delle istituzioni" fa molto Ppe e non dispiacerebbe affatto magari all'Europa in modalità Biden e ancora fastidiosamente in attesa, da parte nostra, di uno straccio di Recovery Plan. Tra l'altro dagli ambienti leghisti è palpabile il fastidio "per le grandi manovre con Pd e M5S". Nulla di nuovo, la politica è un magma: abbiamo visto di peggio. Ma la vera domanda è: a che cosa è dovuto questo avvicinamento al governo del partito azzurro sbiadito al Movimento giallo pallido, roba che nessuno si azzarda a chiamare "inciucio" pure se molti lo pensano? Molte sono le ipotesi, tutte valide.

 

 

 

 

Si parla dello scambio col "Salva- Mediaset", il famoso emendamento proposto dal governo contro le scalate estere alle aziende italiane - leggasi Vivendi - che rende onore all'esecutivo, ma al contempo lo rende creditore nei confronti del Biscione. Si accenna alla possibilità di Berlusconi di rimanere in sella e contare per le consultazioni al Quirinale con l'idea di un "nome condiviso" per la presidenza della Repubblica (un nome a caso, Draghi. Anche se Silvio un pensierino ce lo fa). Si evoca l'"amor di patria" del Berlusca, sopito a tratti dal '94. E si richiama, anche e soprattutto, la necessità di accontentare - per non perderlo - il proprio elettorato: piccola imprenditoria, autonomi, professionisti, partite Iva, ovvero l'ossatura economica e il nerbo della nazione. Ossatura che è stata storicamente anche di Forza Italia. D'altronde, se a scendere in piazza non si conclude un tubo, è meglio dialogare con chi ha il boccino in mano per ottenere qualcosa di concreto. E Berlusconi è, da sempre, la concretezza fatta carne. Tutto giusto, ma è solo una parte della spiegazione.

Perché, esclusi i tre transfughi verso la Lega (Ravetto, Carrara, Zanella), in realtà erano anni che non si vedeva una Forza Italia risoluta, così unita in quadrata falange verso l'apertura ai "grillini di palazzo" oggi futuribili «protagonisti di una larghissima coalizione che tenesse insieme pezzi di centro-sinistra, di centro-destra e residui di populismo diventato sistema», come dicono dall'opposizione. Ora, perché in Forza Italia il Capo torna ad essere il Capo, e ci si protende sempre più in uno stretching politico verso la maggioranza? Banalmente perché i parlamentari forzisti mirano a prolungare la legislatura fino alla naturale scadenza e salvare la propria poltrona. Molti tra gli stessi maggiorenti del partito sanno che lo scranno a cui sono tenacemente abbarbicati sarà l'ultimo della loro carriera. Se oltre allo scranno ti aggrappi anche a Silvio ci fai perfino bella figura

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