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Pier Ferdinando Casini, il jolly di Matteo Renzi: così il leader di Italia Viva mira a tornare in campo

Elisa Calessi
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La conoscenza è antica, ma il rapporto si è consolidato negli ultimi anni. Anche se appartengono a generazioni diverse, anche se le loro strade hanno imboccato direzioni diverse, tra Matteo Renzi e Pier Ferdinando Casini c'è un legame solido, rafforzato di recente. L'ex boyscout che ha "rottamato" i post-comunisti e l'ex dc passato da Berlusconi al Pd, si capiscono. E si stimano. Ed è un rapporto che, in queste ore, è stato decisivo per costruire la mossa che, al momento, sembra aver bloccato l'operazione responsabili: ovvero la scelta dell'Udc di sfilarsi dal progetto dei costruttori: «Non ci prestiamo a giochi di palazzo e stiamo nel centrodestra. I nostri valori non sono in vendita». Fine. A essere precisi, la manovra è a tre. Renzi, Casini e Lorenzo Cesa. Perché è vero che Casini non è più nell'Udc, è nel Gruppo Autonomie, ma è anche vero che, sul partito che ha fondato, ha ancora qualche influenza. Come padre nobile, oltre che come lucidissimo interprete della politica.

«Se vi prestate a questa operazione, diventate i servi inutili di Conte e rompete con la coalizione che, probabilmente, vincerà le prossime elezioni politiche». Questo, suppergiù, è il ragionamento che Casini ha fatto a Cesa e che Renzi ha fatto con i senatori dell'Udc, che conosce e sente. E in serata Casini, ospite di Stasera Italia, ha detto che se Conte riuscisse a stare in piedi per il voto di qualche responsabile sarebbe «una vittoria di Pirro» e l'esecutivo ne uscirebbe «più debole». Quindi il consiglio al premier: a questo punto è meglio «dimettersi» e aprire la crisi. Infine l'appello: «Chi ha più responsabilità recuperi il rapporto con Iv. Non credo serva il trasformismo oggi in Italia». C'è poi un altro elemento: la partita del prossimo presidente della Repubblica. È il grande sottinteso di ogni scelta. Quando si tratterà di decidere il successore di Mattarella, i rapporti che si creano (o si rompono) ora, peseranno.

Un sacrificio fatto ora potrebbe portare frutti fra sei mesi, in una partita molto più importante. Perché buttarlo via? Fatto sta che, alla fine di una girandola di contatti, l'Udc si è sfilata, contribuendo allo sgretolarsi dell'operazione. E nel tardo pomeriggio Renzi, riunendo via Zoom i suoi, ha fatto il punto sulla nuova direzione degli eventi, che sembra virare inaspettatamente a suo favore. «Non vanno da nessuna parte, non hanno i numeri. L'operazione responsabili sta andando verso il naufragio. Dobbiamo rimanere uniti. Se rimarremo uniti, non andranno da nessuna parte», ha detto ai suoi parlamentari. «Sono molto fiero di come stiamo lavorando. Dobbiamo rimanere sui contenuti e ogni giorno che passa diventerà più chiaro che la verità vince sulle veline del Palazzo. Al Senato i nostri 18 senatori saranno decisivi visto che la maggioranza al momento è tra 150 e 152. Non rispondiamo alle provocazioni e lavoriamo sui contenuti».

L'obiettivo del leader di Italia Viva, e lo ha spiegato ai suoi, è dimostrare che «Conte senza Italia Viva non ha la maggioranza», che «siamo indispensabili a una maggioranza Pd-Leu». È questo, secondo Renzi, che deve emergere martedì in Senato: le roboanti (e forse affrettate) dichiarazioni di Palazzo Chigi e del Pd rispetto a una chiusura definitiva con Iv, non facevano i conti con i numeri. Se si vuole andare avanti rimanendo nel perimetro dell'attuale maggioranza, non si può fare a meno di Iv. A quel punto, è il ragionamento che Renzi fa coi suoi, gli scenari possibili sono vari. Il primo è che Conte faccia finta di niente, accontentandosi di ottenere un voto in più: può farlo, dal momento che non essendo l'insediamento di un nuovo governo, ma una semplice votazione, non occorre avere la maggioranza assoluta. Il secondo scenario è che salga al Colle e si dimetta. Il terzo è che ammetta di aver sbagliato, che ritorni a cercare Iv, tentando di lavorare a un Conte ter, dopo le dimissioni.

Proprio in vista di questa possibile ricaduta, Renzi ha deciso che Italia Viva, lunedì e martedì, non voterà contro il governo, ma si asterrà. Per tre ragioni. La prima è non passare, di fronte al Paese, come degli scassatori. La seconda è lasciare la porta aperta a un dialogo col Pd, nell'ipotesi di un Conte ter o (meglio) di un altro governo con la stessa maggioranza (l'obiettivo primo di Renzi). Ma sarà dopo. Fino a martedì, la posizione di Iv sarà quella di «stare nella balconata e osservare: noi abbiamo posto problemi di merito, che siete in grado di fare?». La terza ragione che motiva la decisione di astenersi è provare che, diversamente a quanto detto, «tra me e Conte non c'è un problema personale, ma politico». Ma da qui a lunedì le pressioni saranno tantissime. Per questo Renzi cerca di serrare le fila. Luigi Cucca, uno di quelli dati in uscita, ha smentito di voler lasciare Iv. Mentre è tornato nel Pd il deputato Vito De Filippo. 

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