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Luigi Di Maio, il retroscena: piano-Quirinale, verso l'intesa con Salvini e Berlusconi per fregare Giuseppe Conte

Fausto Carioti
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C'è un grande assente nel caos quotidiano dei Cinque Stelle: Luigi Di Maio. Il suo apporto alla cacofonia grillina è ridotto al minimo sindacale. Ieri ha scritto su Facebook il messaggino motivazionale ai militanti: «Oggi e domani votiamo per Giuseppe Conte presidente del M5S. Un momento di cambiamento e partecipazione, per raggiungere un altro risultato che ci consentirà di completare il nostro percorso di rinnovamento». Nessun trasporto, lo stretto necessario affinché nessuno possa dire che lui se ne è fregato. Solo in privato, con i politici di cui si fida, dice ciò che pensa di Giuseppe Conte. Tranciando giudizi tremendi sulle capacità dell'avvocato pugliese e la scelta di affidargli il movimento. Così se ne sta seduto sulla riva del fiume, nell'attesa di veder passare la salma del suo avversario interno. Intanto gioca su altri tavoli.

 

 

La politica estera, innanzitutto. Dove sta rivelando una dote insospettata: la capacità di imparare. Arrivato alla Farnesina accompagnato da un'imbarazzante ignoranza in geografia, si è messo d'impegno e ha iniziato a masticare cartine e dossier geopolitici. «Ha fatto una full immersion d'inglese e adesso lo parla con discreta confidenza», racconta stupito chi lo ha sentito esprimersi nella lingua di lord Byron. La sua grande ambizione è però quella di avere un ruolo centrale nell'elezione del presidente della repubblica. Operazione che gli consentirebbe di accreditarsi come eminenza della politica e avere un amico sul Colle per sette anni. Per riuscirci deve tessere una fitta tela di rapporti trasversali, cosa che al trentacinquenne figlio di Antonio, piccolo politico avellinese, viene naturale. Con chiunque si parli, a qualunque partito appartenga, oggi è impossibile sentire su di lui parole che non grondino miele. Dentro al Pd, tra i tanti con cui scambia "ragionamenti", s' intende a meraviglia con Dario Franceschini, oggi il più potente dei democratici.

 

 

Il che non impedisce a Di Maio di avere tra i propri confidenti pure Alessandro Alfieri, coordinatore di Base riformista, la corrente che fa la guerra a Enrico Letta. Ancora meglio nel centrodestra. Il filo che lo lega a Matteo Salvini non si è mai spezzato e il 6 luglio, alla cena di compleanno che Di Maio ha organizzato nel ristorante Maxela di Roma, è stato visto ridere e scherzare con Licia Ronzulli, che per Forza Italia cura i rapporti con gli alleati. È Silvio Berlusconi, del resto, il primo a incantarsi ogni volta che lo vede in tv: «È proprio bravo, che peccato stia con quelli...». Trova estimatori persino dentro Italia Viva, il partito che ogni giorno s' azzuffa col M5S. La scorsa legislatura Roberto Giachetti fu vicepresidente della Camera assieme a Di Maio e ancora oggi ha con lui un rapporto di amicizia e stima. «Luigi ha talento politico ed è una delle persone più quadrate e lucide che ci siano, non solo nei Cinque Stelle», dice Giachetti. «Le scuse pubbliche che ha presentato a Simone Uggetti», il sindaco pd di Lodi che fu messo alla gogna dai grillini e poi è stato assolto, «sono state un atto politico forte, che gli ha consentito di giocare un ruolo importante nella discussione sulla riforma della giustizia».

 

 

Tutte cose che gli serviranno a febbraio. Di Maio sembra aver capito ciò che né Conte né Letta intendono accettare: il prossimo capo dello Stato dovrà essere eletto assieme al centrodestra. L'unico modo per far sì che il M5S sia determinante è renderlo protagonista di un accordo con Salvini e Berlusconi, evitando che si frantumi nelle votazioni segrete. Compito che Conte non è in grado di svolgere. L'unico che ha la possibilità è Di Maio, al quale ancora risponde buona parte dei parlamentari del M5S. Lì si vedrà quanto davvero è cresciuto il bibitaro del San Paolo, e si avrà un'idea di dove porta la strada che ha davanti.

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