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Luciana Lamorgese, la fonte nel governo: "Di una furbizia levantina, ha capito che Salvini può essere la sua salvezza"

Fausto Carioti
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«La Lamorgese è di una furbizia levantina. Sul campo sta sbagliando tutto, ma ha capito la cosa più importante: Salvini può essere la sua salvezza». A parlare così è un esponente del governo, ma ciò che dice sta diventando opinione diffusa nella maggioranza. Almeno dal 9 agosto, quando il ministro dell'Interno, intervistato dalla Stampa, ha accusato il suo predecessore al Viminale di non capire il problema dell'immigrazione («non ha ben chiare le difficoltà di gestire i flussi migratori») e ha usato i successi degli olimpionici italiani per difendere la causa dello ius soli. 

 

Perché un ministro tecnico si è tanto sbilanciato su un argomento che Mario Draghi e i suoi colleghi di governo non legati ad alcun partito si guardano bene dallo sfiorare? Chi glielo fa fare di schierarsi in favore di una legge che non ha alcuna possibilità di essere approvata, visti i numeri del parlamento? E come mai tanta durezza con il capo della Lega, che è pur sempre il secondo azionista della maggioranza? La risposta è proprio nel suo fallimento operativo. A monitorare impietosamente l'andamento degli sbarchi è lo stesso ministero dell'Interno, che ne dà conto ogni giorno sul proprio sito: dal primo gennaio a ieri si sono riversati su spiagge e moli italiani 32.605 immigrati. 

 

Dividendoli in base alla nazionalità dichiarata, si scopre che i più numerosi sono i tunisini (8.045), seguiti dai bangladesi (4.656) e dagli egiziani (2.532). Nessuno di loro, al pari degli ivoriani e di quasi tutti gli altri che seguono, fugge da una guerra. E il confronto con gli anni passati è una sentenza senza appello: nello stesso periodo del 2020 gli sbarcati erano stati 15.297 (dunque meno della metà); nel 2019, con Salvini ministro dell'Interno sino a settembre, appena 4.265. Sul fronte interno, l'ultimo disastro è la gestione del green pass. La Lamorgese è passata da «i titolari dei locali non potranno chiedere la carta d'identità ai clienti, perché non sono pubblici ufficiali» (conferenza stampa del 9 agosto) alla circolare (grondante errori di scrittura, peraltro) in cui si legge che negli stessi esercizi, in caso di dubbio, «l'avventore è tenuto all'esibizione del documento d'identità, ancorché il verificatore richiedente non rientri nella categoria dei pubblici ufficiali». 

L'esatto contrario, dunque. I sondaggi già non andavano bene prima. Secondo l'ultimo che la riguarda, diffuso dall'istituto Emg il 20 luglio, la Lamorgese ha la fiducia di appena il 34% degli italiani, in sostanza la metà rispetto a certi suoi colleghi politici come Mariastella Gelmini (61%) e Renato Brunetta (59%). Facile prevedere un peggioramento dopo la pessima prova data con la certificazione verde. Cosa resta da fare a un ministro ridotto così? Affidarsi alla furbizia, se ce l'ha. E la Lamorgese ne possiede tanta. La sua richiesta di varare una legge per lo ius soli e gli attacchi a Salvini non saranno piaciuti a Draghi, però hanno distolto l'attenzione dal modo in cui il ministro (non) gestisce l'immigrazione e hanno fatto piovere su di lei le accuse della Lega. Si è visto con Roberto Speranza come funziona: se una parte politica (sempre il Carroccio, guarda caso) attacca un ministro, Draghi non può fare altro che difenderlo. Finché va così, la poltrona della Lamorgese può considerarsi salva; l'Italia, un po' meno.

 

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