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Mario Draghi, la mano dei banchieri contro il premier: "Operazione Omicron", così gli vogliono vietare il Quirinale

Alessandro Giuli
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È scattata "l'operazione omicron": una specie di tacito e trasversale patto congegnato nel retropalco politico-mediatico e finanziario per imbullonare Mario Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023 per via della recrudescenza pandemica (variante sudafricana) e della necessità di colmare le perduranti lacune del Pnrr. Non che il progetto manchi di una sua ragionevolezza; ma da ieri somiglia più a una camicia di forza cucita sulle misure del riluttante premier e di Sergio Mattarella, che pure non vede l'ora di tornare un privato cittadino. Ma vediamo nel dettaglio le ultime novità. Su Repubblica scende in campo il direttore in persona, Maurizio Molinari, uomo di poche ma pesanti parole spesso ispirate da una conoscenza profonda di ciò che si muove nel Deep State occidentale.

Il successore di Ezio Mauro firma un editoriale dal titolo già eloquente-"Il voto sul Colle e la doppia emergenza" - tutto centrato sull'allarme intorno al Covid-19 e alla «ricostruzione più vasta dal Dopoguerra» in corso. Tesi: l'Italia draghiana ha fatto bene fin qui, ma adesso ha il dovere di pilotare il contrasto al «feroce nemico invisibile» e completare un "Piano nazionale di ricostruzione e resilienza che minaccia di rallentare prima ancora di iniziare". Quindi? La doppia emergenza dovrebbe suggerire «estrema prudenza» alle forze parlamentari nel momento in cui si dovrà procedere al voto quirinalizio, pena il rischio di non riuscire a replicare nel 2022 lo schema salvifico dell'anno uscente. La deduzione è abbastanza scontata: perpetuare nei limiti del possibile la fotografia dell'esistente, con l'ex banchiere centrale stabile a Palazzo Chigi e i partiti un passo indietro, ancora in un ruolo ancillare. Non una parola su Mattarella, ma s' intuisce che il profilo richiesto dall'urgenza è sempre quello.

 

 

EROICAMENTE STABILE - Sull'altra ammiraglia del Gruppo Gedi, la Stampa di Torino, l'arguto (e informatissimo) Marcello Sorgi disegna uno scenario ancora più esplicito - "Se il virus apre al bis di Mattarella" - sorretto dalle stesse motivazioni e con in più il timore che a forza di trafficare tra Quirinale e presidenza del Consiglio si finisca per «precipitare il Paese verso elezioni anticipate». Morale: se non di un «congelamento tout court» del quadro attuale, dietro l'angolo ci aspetta auspicabilmente una «stabilizzazione resa necessaria dal possibile aggravarsi di una situazione a tutt' oggi eccezionale, e che non riguarda solo l'Italia».

Idem sul Giornale, che ovviamente non ha mai nascosto l'intento di sostenere la candidatura al Colle del Cavaliere, ma il cui direttore assume toni a metà tra l'iperbolico e l'intimidatorio. Sotto un titolo di schietto e maschio carattere bellico - "L'eroe e il disertore" - Augusto Minzolini si fa carico delle stesse analisi fin qui esaminate e conclude che Draghi ha di fronte a sé un bivio più che amletico: rimanere eroicamente al proprio posto di comando oppure, «mi sia consentito con tutto il rispetto», assumersi la responsabilità di una metamorfosi «dell'eroe in disertore». Roba forte.

 

 

Il primo a suonare la grancassa del Draghi forever era stato a novembre il banchiere di sistema Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo: "A Palazzo Chigi c'è un uomo che è il meglio che l'Italia possa esprimere in credibilità, cose fatte e reputazione. Togliere questo tipo di prospettiva indebolirebbe di molto il nostro Paese". In quella circostanza, non senza alludere anche a un bis di Mattarella, Messina esplicitava ciò che nemmeno un mese prima aveva lasciato intendere il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ("Lunga vita al governo Draghi"). Di lì in poi sono usciti allo scoperto i leader politici come Carlo Calenda e Matteo Renzi (lui però a contrario, mettendo in evidenza il rischio incombente in caso di dimissioni draghiane: occhio che si va a votare); ma pure il leghista Giorgetti ("Draghi continui a guidare il convoglio") e un buon pezzo di Pd rimasto fedele alle prime convinzioni del mutevole Enrico Letta. E così pure Conte e il suo ministro pentastellato Patuanelli, oltre, va da sé, a Forza Italia.

COMPITO ASSOLTO - Tali posizioni, ripetiamolo, non sono prive di un qualche fondamento ma al tempo stesso costituiscono uno straordinario moltiplicatore di quelle pressioni da cui peraltro si vorrebbe programmaticamente esonerare Mattarella (con la frusta e pigra formula del "non tirare il presidente per la giacchetta"). In verità, man mano che ci si avvicina alla scadenza naturale del settennato, i gruppi d'interesse più eterogenei tendono a coagularsi in nome della salute pubblica e delle convenienze di bottega. Com' è naturale che sia e come sanno bene i peones delle due Camere che si renderebbero disponibili a qualsiasi alchimia pur di non accorciare le aspettative di vita del proprio stipendio da parlamentare. Quanto al diretto interessato, da settimane sta facendo trapelare la volontà di disincagliarsi da un compito che considera (considerava?) ormai assolto, nell'attesa di scavallare le feste natalizie e raccogliere l'alloro quirinalizio sulla scia di un consenso politico bipartisan e di una larghissima popolarità fra i cittadini.

 

 

Dopotutto, si ragiona nell'entourage dell'ex banchiere centrale, se il timore più diffuso è quello delle urne anticipate, è bene notare che sarebbe complicato perfino per ego carismatico come il suo stabilire l'immediato scioglimento delle Camere che l'avessero appena eletto al Colle. Sicché tanto varrebbe concordare per Palazzo Chigi un nome alternativo che garantisca una continuità d'indirizzo puntellata dalla medesima maggioranza. Fermo restando che, da qui al 2023, l'Italia sarà comunque impegnata in una lunghissima campagna elettorale che costringerà il governo a sobbalzare fra le montagne russe e avrà invece nel Quirinale un indispensabile centro riequilibratorio delle tensioni. Perché dunque rischiare di disperdere il capitale umano e professionale rappresentato da Draghi inchiodandolo al governo? E con il rischio che sia lui, nell'arco di pochi mesi, ad alzare bandiera bianca, ghigliottinare la legislatura declinante e rimettere il mandato nelle mani di un capo dello Stato meno "gesuitico" o comunque più debole in Italia e all'estero?

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