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Enrico Letta da Giorgia Meloni: "Quirinale, decidiamo insieme". La mossa per far fuori Berlusconi

Antonio Rapisarda
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La definizione più chiara - forse la migliore ultimamente - del ruolo e di che cosa ha in testa di fare Giorgia Meloni? L'ha fornita Enrico Letta. «Il gioco di Giorgia? È quello di fare della democrazia italiana una democrazia nella quale esiste una destra che va al governo con i valori della destra e non con accordi spuri, come è avvenuto in questi anni». Un centrodestra che tenta di vincere le elezioni «in quanto tale e cerca di governare. Io vorrei fare la stessa cosa dall'altra parte». Non fa una piega, ed è una notizia.

 

 

 

 

Miracolo di Natale o effetto Atreju? Fatto sta che ieri l'idea dell'arco costituzionale (qualche mese fa il vice di Letta, Beppe Provenzano, si avventurò a proporre sostanzialmente lo scioglimento di FdI) è stata riposta nel cassetto. Vediamo per quanto. «Io sono contento di essere qui», ha premesso il leader del Pd, anzi «leggendo i giornali ho il problema di non sembrare troppo in sintonia con la Meloni: che è anche interessante ma non è vero». Ciò che assicura sia vero - seconda notizia in pochi minuti - è che Letta ha annunciato di non voler seguire le orme dei suoi predecessori inclini ad accettare ogni accordo: «Al governo nella prossima legislatura? Ci andiamo solo se le elezioni le vinciamo», questa l'assicurazione. «L'idea che noi dobbiamo andare al governo sempre per me è molto negativa». Detto ciò restano seri i punti di divisione. Dal persistente doppiopesismo riguardo i conti con il passato («A noi nessuno pone questo problema, perché è risolto alla radice - ha replicato a chi gli chiedeva del comunismo -. Ma dico a FdI che affrontare questo passaggio in Europa è importante») fino ad arrivare al ddl Zan e al nodo sul suicidio assistito. Ma c'è un tema che inquieta gli alleati di Letta: il voto anticipato. E su questo il segretario parla a suocera perché nuora intenda: «So che volete votare il prima possibile. Ma se non si votasse il prima possibile, lo dico qui e faccio un appello: perché non usiamo l'anno davanti per fare cose che non potremo piu fare?».

 

 

 

 

 

La proposta, concentrata sul depotenziamento del gruppo Misto (pieno di ex M5S) sembra anche un modo per sviare i sospetti, agitati da Renzi, che il dem sia in verità pronto a sostenere Draghi al Colle, per arrivare con il voto alla ricompilazione delle liste Pd. La voglia di "rivincita" di Letta, non a caso, emerge anche dalla sorprendente smentita del disegno neoproporzionalista: «Quando dici "volete" non riguarda me...», ha risposto a Bruno Vespa. «Personalmente sono sempre stato per il maggioritario. E non ho cambiato idea». Il 2022, e quindi la discussione sul Quirinale, comunque incombono. Letta qui ha chiesto aiuto a Meloni per creare un "campo largo": perché sa bene di avere più quirinabili che voti in Aula. Dunque? Corteggia la destra: «Io ritengo che il Presidente debba essere eletto con una larga maggioranza, che debba essere votato da tutti», anche da Meloni e FdI. Ma certamente anche dal suo Pd. Per questo su Berlusconi, a differenza del M5S, chiude: «La sua candidatura è molto in salita». E Draghi? Letta non si è sbilanciato. «Se rimanesse a Palazzo Chigi sarebbe positivo ma ne parleremo a gennaio». Di una cosa, però, il dem è già convinto: «Non lo so se questa maggioranza andrebbe avanti dopo di lui. Oggi fa fatica ad andare avanti, lo sta facendo grazie a un senso di responsabilità». Sottinteso: con l'avvio della campagna elettorale, dopo il Colle, questo senso potrebbe venire meno. Ma anche se Draghi si sentisse "sfiduciato" si aprirebbe una campagna elettorale... 

 

 

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