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Camera, l'aula è vuota: 25 deputati su 630. La vergogna della politica e la fine della sinistra: di cosa dovevano discutere

Claudia Osmetti
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Come volevasi dimostrare. Non è che qui a Libero abbiamo la palla di cristallo, è che era scritto (e neanche troppo) tra le righe: la legge sul suicidio assistito è già arrivata al capolinea. Ché il tema è delicato- vero. E la politica rischia di rimanerci impigliata - altrettanto vero. Non a caso temporeggia da almeno tre anni (nonostante il sollecito della Corte Costituzionale a seguito del caso di Dj Fabo) e, appena può, rinvia il rinviabile. Dopo una settimana di annunci in pompa magna e dichiarazioni d'intenti più o meno sperticate, si sono ritrovati in 25 per discutere la nuova normativa. In 25 su 630 deputati eletti: non l'hanno boicottato, in Parlamento, il suicidio assistito, hanno proprio issato bandiera bianca. Una resa totale che, per certi versi, pende più a sinistra. Per fortuna che Enrico Letta, il segretario del Partito democratico, l'aveva messa giù dura: «Questa», diceva una settimana fa riferendosi all'ennesima formulazione del testo che è arrivato in Aula ieri pomeriggio, «è la linea più evoluta». Figuriamoci quale partecipazione ci sarebbe stata, se si fosse optato per una stesura meno avanzata.

 

 



SINCERITÀ - L'unico che ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno è l'onorevole Giorgio Trizzino, che (guarda caso) siede nelle file del gruppo Misto: «Se le telecamere ci inquadrassero adesso», è sbottato nell'emiciclo deserto, «si vedrebbero i pochi che assistono al nostro dibattito, il che dimostra quanto la politica sia distante da un tema così importante». Amen. E poi, vogliamo dirla tutta? A stupire non sono le seggiole vuote di Lega e Fratelli d'Italia: loro son sempre stati contrari e l'han detto a più riprese (chi c'era l'ha fatto anche ieri). Semmai sono i colleghi progressisti, quelli del Pd e (adesso) pure i grillini, che in un'intervista si dicono favorevoli e alla prova dei fatti se ne vanno a gambe levate. Il suicidio assistito l'hanno calendarizzazato di lunedì: non solo a ridosso della manovra finanziaria, delle ferie natalizie e, in previsione, anche dell'elezione del capo dello Stato. Addirittura pensavano di trattarlo il primo giorno della settimana: quando a Montecitorio non è ancora arrivato nessuno e, al massimo, se si riempie qualcosa sono le commissioni. L'abbiamo scritto ieri mattina: il suicidio assistito farà la fine del ddl Zan. Dopo neanche dodici ore, nel primo pomeriggio, era chiaro che sarebbe andato in quel modo: con, da una parte, l'associazione Luca Coscioni che dire storce il naso è un eufemismo («Ascoltando il dibattito si capisce che per alcuni gruppi parlamentari questa legge è un'occasione per mettere in discussione le conquiste già realizzate e non per creare nuovi diritti», commenta Marco Cappato) e dall'altro quella formuletta, «rinviati ad altra seduta», pronunciata dal presidente di turno della Camera, Fabio Rampelli (Fdi), che manda tutto in soffitta fino, presumibilmente, a febbraio, quando invece arriverà il responso sul referendum dell'eutanasia legale e allora saran dolori. Che ci vuoi fare, son fatti così. Per un Roberto Fico (M5s) che ricorda che «l'Italia deve colmare il vuoto normativo sul suicidio assistito perchè in questo modo entrerà nell'era di un Paese più civile e giusto», ci sono 165 dei suoi, cioè la platea dei deputati grillini, che, in massima parte, defezionano.

 

 

 



OCCASIONE - Non è un bel vedere. E non è neanche una questione di temi perchè su quelli, d'accordo, è sacrosanto dibattere: dal registro dei medici obiettori alla casistica di chi ne potrà fare richiesta. Però, se si vuole discuterne, serve esserci quando l'occasione è propizia. Annunciare che lo si farà e basta, magari per rassicurare la Consulta così, forse forse ne terrà conto tra due mesi, quando dovrà dare il via libera al referendum sulla dolce morte, non è esattamente la stessa cosa. Chi ha paura della democrazia diretta (parentesi: tra questi sembrano esserci proprio quelli che ne avevano fatto una bandiera) non si è accorto che il giochetto vale fino a un certo punto: la riforma dell'aiuto al suicidio riguarda l'articolo 580 del codice penale, ma il quesito referendario per cui Cappato ha raccolto più di un milione di firme riguarda il 579. Se la volontà è quella di fermare la corsa prima che arrivi alla Corte Costituzionale, i relatori del provvedimento (M5s e Pd) si stanno arrovellando sull'articolo sbagliato.

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