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Mario Draghi salva il governo e (forse la casa)? Pietro Senaldi: il calvario è solo cominciato...

Mario Draghi

Pietro Senaldi
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La grande rappattumata pasquale. Se una donna ucraina e una russa possono portare insieme la croce nella processione del Venerdì Santo di Papa Francesco, Draghi e il centrodestra di maggioranza, sempre più lontani, possono bene decidere di procedere ancora insieme per qualche altra tappa del Calvario che porterà l'Italia al voto, probabilmente la prossima primavera, forse anche prima. «Se tassa la casa, il governo va a casa». Così abbiamo titolato Libero lunedì scorso, per evidenziare come Lega e Forza Italia erano pronte a tutto per di scongiurare un aumento delle imposte sugli immobili attraverso la rimodulazione degli estimi catastali e un aumento dei prelievi sui canoni di locazione. Il vertice di ieri tra il centrodestra e il capo dell'esecutivo sull'argomento ha prodotto una fumata bianca. Il premier ha assicurato che non ci saranno nuovi balzelli, leghisti e forzisti ci hanno creduto, o hanno fatto finta. Si volta pagina, anche se la sensazione è di trovarsi sempre all'inizio del libro.

LA DELUSIONE - Super Mario ha fatto sapere di «non essere» stanco e di voler andare avanti. Si è detto però «amareggiato» perché i partitilo vogliono far passare per un novello Visco, il tassator scortese di Prodi, mentre lui non si ritiene affatto tale. La sensazione è che gli italiani siano più stanchi di lui, ma non sappiano a che altro santo votarsi, e che i partiti siano ancora più esausti e disorientati dei cittadini. Quanto all'amarezza, è un sentimento equamente diffuso. Ha buon gioco quindi la Meloni a sostenere che le promesse di non alzare le tasse «sono solo parole» e che «per una vera riforma del fisco che abbassi seriamente il prelievo sui cittadini sarà possibile solo quando il governo, sottomesso a una sinistra che ama tartassare gli italiani, andrà a casa».

 

 

In effetti, l'impegno di Draghi a non toccare il fisco vale al massimo un anno, perché nessun premier può vincolare l'azione dei suoi successori, e neppure è obbligato a mantenere la parola nel caso resti in carica. Però, in questo preciso frangente, l'ex banchiere non poteva far altro che tranquillizzare il versante centrodestro della propria maggioranza, perché sulle tasse né azzurri né leghisti possono cedere; quello per il fisco è un totem più che una battaglia per il centrodestra.

Sono rassicurazioni e nulla di più, quelle fatte dall'inquilino di Palazzo Chigi, ma a Salvini e Berlusconi sono più che sufficienti per potere cantare vittoria e tirare avanti nel loro progetto di Forza Lega, ormai un'unione più che una federazione, che i due leader devono però ancora far digerire ai loro parlamentari, prima che agli elettori, che storicamente non sono attratti dalle fusioni a freddo, le quali invece hanno solitamente l'effetto opposto, quello di mettere in fuga gli affezionati.

 

 

GLI EQUILIBRI - Bene lo sa la Meloni, la quale non ha perso occasione per infierire sul riavvicinamento del centrodestra di governo al premier e che è persuasa che il nuovo volto che si sta dando il centrodestra alla fine si risolverà in un vantaggio per Fratelli d'Italia. Sempre che la Lega non si inventi un coniglio da estrarre dal cilindro, cosa affatto esclusa da qui a un anno. I lavori sarebbero già in corso, specie nei territori del Nord, tornato a essere, grazie all'attivismo dei governatori, il cuore pulsante del partito. Quanto al presidente del Consiglio, più che stanco o amareggiato, pare disilluso. La sua mancata elezione al Quirinale al posto di Mattarella ha segnato una linea di passaggio, che le successive vicende della guerra contribuiscono a coprire agli occhi dell'opinione pubblica ma non a cancellare nella sostanza. Il profilo politico del premier si è attenuato per lasciare spazio a quello esecutivo. Si fanno le cose che si devono se e come si possono, senza sfinirsi in mediazioni ma tuttalpiù elargendo contentini che consentano di andare avanti. Agevolato dalla contingenza internazionale, Draghi governa pensando al palcoscenico mondiale che lo guarda, preoccupandosi sempre meno di compiacere gli spettatori nazionali, perché tali ormai sono i partiti che lo sostengono, tutti vanamente impegnati a speculare consenso dall'appoggio al premier.

 

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