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Enrico Letta sicuro di avere i grillini al guinzaglio: quelle manovre giallorosse e l'asse con Di Maio

Enrico Letta

Elisa Calessi
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Enrico Letta, si spiega al Nazareno, «non ha nessuna intenzione di deflettere» dalla linea tracciata. Né in tema di altlantismo né di scelte ambientali (vedi il sì di Roberto Gualtieri al termovalorizzatore a Roma). Anzi, l'idea è di ribadire questi paletti con sempre maggiore nettezza, di farne «il discrimine» per la coalizione che si presenterà alle elezioni politiche del 2023. Anche se queste posizioni, come è sotto gli occhi di tutti, dovessero approfondire il solco con il principale alleato del "campo largo", il M5S. O meglio: con Giuseppe Conte. E forse è proprio questa precisazione, fatta dai suoi, a chiarire cosa ha in mente il segretario del Pd e come sta vivendo queste settimane di freddezza con l'ex "punto di riferimento dei progressisti". Come si dice nella sua cerchia, «noi costruiamo una alleanza con un movimento, non con una persona». Che potremmo tradurre così: le persone passano, i movimenti restano (o almeno più delle prime). E chi lo sa che non passi, presto, anche Conte.

Ovviamente non è in potere del Pd - e non sarebbe nemmeno lecito - decidere chi fa il leader del M5S. Non è un mistero, però, che, dall'elezione del Quirinale in poi, le quotazioni di Luigi Di Maio, tra i dem, sono molto cresciute. Di pari passo con il calare di quelle di Conte.

 

 

L'ASSE CON GIGINO - In asse con Di Maio, Letta è riuscito a sventare il blitz del capo del M5S per portare al Quirinale Elisabetta Belloni. Ed è stata molto apprezzata al Nazareno la linea euroatlantica (sostegno a Kiev, condanna di Mosca, sì all'invio di armi) tenuta dal ministro degli Esteri fin dall'inizio dell'invasione russa in Ucraina. La scommessa, insomma, è che prima o poi il timone del Movimento lo prenderà il giovane ministro degli Esteri. Oltretutto Conte non se la passa bene in generale. Non è solo l'Ucraina e l'ambiguità sulla sfida Macron/Le Pen, ma anche la vicenda Barr, la missione "Dalla Russia con amore", il ritorno di Beppe Grillo. Quindi non vale la pena crucciarsi più di tanto per le sue uscite.

Il secondo ragionamento è un realistico calcolo di forze: il M5S non è più quello del 2018. Conte sta disperatamente cercando di recuperare consensi, tornando ai temi delle origini. Ma poi, a ridosso del 2023, è il ragionamento che si fa al Nazareno, dovrà fare i conti con la realtà del sistema elettorale e dei numeri. Se non vuole essere irrilevante, il M5S non può che allearsi con il Pd. E siccome il partner più forte, ora, è il Pd, dovrà accettare le sue regole di ingaggio. Che saranno poche, ma chiare: collocazione euroatlantica, ambientalismo dei "sì". Sul resto, ognuno può continuare a pensarla diversamente. E se il M5S non dovesse accettarle? Per dirla con un dirigente dem molto ascoltato al Nazareno, «il gas prende sempre la forma del contenitore nel quale lo metti».

SILENZIO ELOQUENTE - Questo spiega il silenzio di Letta su Conte. E l'ordine ai suoi di non polemizzare. Il che non significa tacere. Ieri il leader Pd, incontrando la stampa estera a Roma, non si è sottratto alle stesse domande che avevano messo in difficoltà Conte: «Se Le Pen vince è la più grande vittoria di Putin, più importante dell'invasione dell'Ucraina. Sarebbe la fine dell'Europa Comunitaria. Il percorso di costruzione europea sarebbe terremotato», ha detto. E ha aggiunto di essere rimasto «colpito» dal fatto che gli elettori francesi «non abbiano sanzionato la vicinanza a Putin dei candidati del primo turno». Ed è «probabile», ha ammesso, che sarà così anche in Italia. Quanto a lui, però, la scelta è chiara: «Condivido e mi sentirei di sottoscrivere l'appello dei tre primi ministri Costa, Sanchez e Scholz a favore di Macron e contro Marine Le Pen». Per finire, si è detto a favore di un «embargo completo delle fonti di energia che arrivano dalla Russia», tanto «prima si arriva lì e meglio è».

 

 

Poco dopo un irritato Conte tornava sul tema del voto francese: «Non so cosa si chiede il Pd o i nostalgici di Renzi che sono ancora nel Pd ma invito il Pd a non entrare nelle valutazioni personali. Il M5S è molto distante dalle politiche della Le Pen: chiedo di non speculare perché noi su questo punto non ci sono fraintendimenti. Solo chi è in malafede può farlo». Detto questo, «i temi posti da Le Pen sono veri» anche se «le soluzioni non le condivido. Ma assumere atteggiamenti spocchiosi non paga».

E se i lettiani si cuciono la bocca, parlano quelli di Base Riformista: «Conte può dire come stanno facendo i democratici in tutta Europa che sta dalla parte di Macron. In fondo non è difficile, basta seguire il ministro Di Maio», twitta Andrea Marcucci. «Sulla scelta tra Macron e Le Pen suggerisco a Giuseppe Conte di non buttarla in caciara, insultando i tanti che nel Pd e fuori del Pd hanno trovato inaccettabile che il leader di un grande partito non abbia avuto il coraggio di auspicare la vittoria di Macron», commenta Andrea Romano. Sulla Francia, dice Valeria Fedeli, «ha ragione Letta, la direzione politica da seguire deve essere quella di riunire il campo democratico progressista sulla base dell'europeismo, della sostenibilità economica, dell'uguaglianza e dell'inclusività sociale». «Se vince Zelensky finisce la guerra, se vince Putin finisce l'Ucraina. Se vince Macron vince l'europeismo, se vince Le Pen finisce l'Europa. Almeno su questo Conte dovrebbe dire da che parte sta», scrive il dem Dario Stefano.

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