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"Mario Draghi lo schifa": la frase rubata al big Pd, umiliazione terminale per Giuseppe Conte

Elisa Calessi
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«Conte è totalmente privo di razionalità». «Non si capisce a cosa punta, cosa vuole». «Far cadere il governo? Ma i suoi non glielo permetteranno mai». «Li avete sentiti? Crippa che chiede la via diplomatica mentre il suo ministro che è capo della diplomazia...». «Sono surreali». «Distonici». «Allo sbando». «Di Maio non sapeva dove guardare, l'avete visto?». «Praticamente Crippa sta dicendo che il ministro degli Esteri, che è uno dei loro, non fa abbastanza».

 

Sono solo alcune delle frasi che, ieri, si sentivano tra i deputati dem alla Camera dei deputati, dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio, durante il dibattito. E, meglio di ogni riflessione, raccontano lo stato dei rapporti tra il Pd e l'alleato Cinquestelle. Lo stato d'animo prevalente tra idem, più che l'irritazione, è lo sconcerto. E la rassegnazione. Il tutto è trattenuto. Ogni frase pronunciata è raccolta a taccuino chiuso e sotto garanzia di anonimato. Anche perché l'alleanza, formalmente, regge. Deve reggere.

Fra poche settimane Pd e M5S si presenteranno insieme in quasi tutte le città che andranno al voto. È vero che al Nazareno non ci si aspetta granché dal M5S. «Al Nord sono inesistenti, al Sud sono quasi spariti». Ma l'alleanza c'è. Tutte le iniziative di campagna elettorale sono fatte insieme. Resta il fatto che il dossier Ucrania ha segnato un solco. Che si allarga ogni giorno di più. Del resto, come nota Giacomo Portas, dei Moderati, eletto nelle liste del Pd, il fossato è anche dentro lo stesso Movimento, dove è ormai evidente che la linea del capo della Farnesina non è quella del capo pentastellato. «Draghi», scherzava ieri Portas, «inviti Conte almeno a prendere un caffe e magari gli presenti Di Maio. Così potrà conoscerlo e sapere le strategie del ministro degli Esteri».

 

Il timore non è che il M5S faccia cadere il governo. Come osserva Osvaldo Napoli, che di esperienza parlamentare ne ha tanta, «si è capito che si andrà a votare a maggio 2023 perché così Draghi gestisce la seconda tranche del Pnrr. Quindi fare cadere il governo ora, significa perdere 12 mesi di diaria. E con tutti i mutui che hanno acceso, rinuncerebbero a 120mila euro?».

La convivenza, però, resta difficile. E ad ammetterlo è perfino Francesco Boccia, uno dei primi e più strenui sostenitori del matrimonio con il M5S: «Difendo le ragioni dell'alleanza», ha detto ieri, in particolare elogiando Di Maio che in questi anni «non solo è diventato ministro degli Esteri ma è un ottimo ministro degli Esteri fortemente europeista». Certo, ha però aggiunto, «è faticoso, ogni tanto ci dividiamo». Ma contano i fatti. Almeno per ora. E su questo piano, ha notato Boccia, non ci sono problemi. «Sia nel Parlamento europeo che in quello nazionale abbiamo sempre votato insieme». Quasi sempre. Meno categorico è il senatore Andrea Marcucci: il patto con i M5S non è «obbligatorio», ha detto. «Le alleanze si stringono sulla base di un programma condiviso, pochi punti ma su quelli non si transige». 

E sulla politica estera, in queste settimane, i punti di attrito sono molti. Dossier non proprio marginale, soprattutto in vista delle elezioni politiche, quando ci si dovrà presentare come una coalizione candidata a governare il Paese. Un esponente dem del governo, sotto anononimato, ammette che la preoccupazione, su questo piano, c'è: «L'alleanza regge, ma se continuano a mettere delle zeppe lungo la strada, poi diventa complicato camminare insieme». In Transatlantico già si fanno i conti sui collegi uninominali contendibili con il centrodestra (molto pochi) alle prossime politiche e su quanto la compagnia dei Cinquestelle possa aiutare. «Al Nord li vince quasi tutti il centrodestra, al Sud molti il centrodestra. A noi resta la dorsale appenninica che però vinciamo a prescindere dal M5S». La cosa migliore sarebbe il proporzionale, ma nessuno crede ci siano chance di cambiare la legge elettorale. Insomma, un alleato che rischia di trasformarsi in un peso più che in un aiuto. ©

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