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Referendum, fuga di notizie dai seggi: La Repubblica di Littizzetto, a chi stiamo per consegnare l'Italia

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Francesco Specchia
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Nella metafora cinematografica Sam Peckinpah ci farebbe un western chiassosissimo, ambientato in un'aula di tribunale. Il mucchio selvaggio del "No" ai referendum sbriglia i cavalli nelle praterie dell'astensionismo. Oggi si votano i cinque, cocciuti, eroici, quesiti sulla giustizia proposti da Radicali e Lega. Una battaglia di civiltà che è stata, nei mesi, ostacolata - legittimamente, per carità - da partiti politici, gruppi editoriali, intellettuali e giornalisti, stakeholders spesso legati alla magistratura. Nel mucchio selvaggio antireferendario spiccano, per l'appunto, cavalieri di diversa estrazione. Tra i magistrati, il faro è senza dubbio Piercamillo Davigo.

 

 

UNICO AL MONDO
Il quale, in audizione alla Camera, lamentava che i giudici «non potranno incarcerare in maniera preventiva i delinquenti seriali» e ciò «sarebbe un caso unico al mondo». Altro punto era l'abrogazione del decreto Severino. Non se ne dava pace. Perché «a nessuno verrebbe in mente di candidare un condannato per mafia o terrorismo». Mentre del quesito referendario che punta a introdurre la possibilità di rivalersi direttamente sui magistrati l'ex membro del Csm aveva evocato «problemi di ammissibilità» che, in effetti, la Consulta recepì bocciando quella volontà popolare già espressa nell'87 sullo strascico del caso Tortora. I magistrati, ovviemente, sono tutti per il "No".

Bastava leggere, qualche giorno fa, quanto il togato Nello Rossi direttore di Questione Giustizia esprimeva sulla sua testata, strangolando i referendum addirittura nella culla: «Sul terreno più strettamente politico, poi, va considerato che l'attivazione di referendum discutibili, impropri, strumentali può alimentare fenomeni, peraltro già vistosamente presenti nella nostra società, di distacco e di disaffezione verso la partecipazione politica. E che questi referendum siano discutibili ed impropri sta scritto tanto nel loro atto di nascita - il connubio tra una forza di minoranza come i radicali e un partito di governo - quanto nel successivo disinvolto accantonamento delle firme dei cittadini per far posto all'iniziativa "esclusiva" dei Consigli regionali con maggioranza di centrodestra». Peccato che Rossi ometta che l'iniziativa regionale è sancita dalla Costituzione, ma tant' è. Gli editoriali dei giornali sono stati un baluardo del "No". Su Micromega Paolo Flores D'Arcais, chiosava al solito pippone giustizialista sul perché «è razionale oltre che morale non andare a votare per questi ignobili referendum», buttandola sull'ideologico: «I referendum vogliono mettere il suggello trionfale a questo quasi trentennio di rivincita del partito della corruzione e dell'intreccio politico-affaristico (con frequenti addentellati e risvolti mafiosi) contro l'impegno di tanti (ma sempre troppo pochi) magistrati-magistrati, e una parte dell'opinione pubblica e delle sue mobilitazioni nelle piazze e sul web».

Un piumino di cipria. In realtà, i magistrati-magistrati sono stati abbondantemente supportati dal mainstream dell'informazione. Il quotidiano Repubblica, per esempio, attraverso un delle sue firme di punta, Francesco Bei, ha invitato ad andare al mare o non votare («la medicina referendaria proposta non è quella giusta. Anzi, se fosse somministrata aggraverebbe la malattia del paziente invece di curarlo. Soprattutto in un Paese, il nostro, con un elevato indice di criminalità e corruzione e dalla cultura politica tutt'ora intossicata da forti pulsioni populiste»). Il gruppo del Domani di Carlo De Benedetti ha eviscerato i quesiti uno ad uno, come si fa con il pesce, attraverso un'intervista a Rosy Bindi e con la penna di Nadia Urbinati («requisiti controversi nella forma e nel contenuto»).

 

 

Il Fatto Quotidiano ha dettato la linea dei 5 Stelle e, soprattutto di Giuseppe Conte. E Conte, da sempre, ritiene che «i referendum, così come sono concepiti, sono frammenti normativi che intervengono quasi come una vendetta della politica nei confronti della magistratura». E lo fa pur ammettendo la deriva correntizia ma cercandone la soluzione in una «riforma organica e sistematica» (epperò Conte è anche quello che tenta in tutti i modi affossare la riforma Cartabia). Il supporto a far scivolare nell'oblio i referendum viene pure da una comica, Luciana Littizzetto richiamata dall'Agcom per il monologo sull'esegesi del referendum. «Custodia cautelare, legge Severino, ancora ancora, ma elezione Csm, separazione delle carriere, elezione consigli giudiziari ma che cacchio ne so? Ma per chi ci avete preso? Per 60 milioni di Giuliani Amati? Siamo forse dei Perry Mason?»: questo il suo monologo senza contraddittorio ma non privo di fondamento.

SANZIONI AGCOM
Metteteci che l'Agcom ha sanzionato pure la Rai (e le altre tv) per aver dedicato ai referendum solo lo 0,3% del palinsesto. E vi accorgerete che quello del Mucchio selvaggio, sotto un cielo attraversato dal tuono degli spari, bè, è stato un assalto fatto a regola d'arte...

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