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Giuseppe Conte tra Casalino e Di Battista: l'unica via che ha per sopravvivere

Elisa Calessi
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C'è amarezza, rabbia, incredulità. C'è quello che, in una separazione, si dice sempre: «Era tutto preparato da giorni, da settimane». Ci sono parole grosse che volano, accuse, insulti. Ha pensato solo a se stesso, alla sua poltrona, ha tradito.

Tutto l'armamentario di quello che si può immaginare c'era, ieri, nel quartier generale di Giuseppe Conte, alle prese con una scissione annunciata, ma che, come tutte le separazioni, quando arriva davvero è sempre un po' inattesa. La procedura del «divorzio» sarà ancora lunga. Come in ogni scissione, ci sarà la guerra per avere più truppe (già cominciata), lo scambio di accuse. Ma la domanda fondamentale è un'altra: e adesso? Cosa sarà del M5S dopo questa dolorosissima scissione? Cosa ha in mente Conte? Dove vuole andare? Perché è chiaro che dopo questa scissione, pesantissima dal punto di vista simbolico oltre che numerico, essendo stato Di Maio il capo politico del Movimento, nulla è più come prima.

 

 




IL RILANCIO - Il primo imperativo, filtrava ieri dal bunker dell'avvocato, è rilanciare. Ieri sera Rocco Casalino, storico braccio destro di Giuseppe Conte, è stato netto: «L'aggressione contro di noi sarà un boomerang». Dimostrare che il M5S non è morto, come in molti, ormai, lo danno. E per farlo occorre, innanzitutto, recuperare lo spirito degli inizi, tanto più se Di Maio punterà a un progetto centrista.

Per questo il primo nome che ieri, nella cerchia di Conte, si faceva è quello di Alessandro Di Battista. Il quale, peraltro, non appena sono cominciate a girare le voci della imminente nascita di gruppi "dimaiani", ha fatto un lungo post su Facebook nel quale, dopo aver rivendicatole proprie scelte e definito «scellerata (e suicida)» la decisione «di entrare nel governo dell'assembramento», un «ignobile tradimento», dopo aver sostenuto che «l'invio di armi» è una violazione della Costituzione, terminava con un ambiguo «A riveder le stelle».

Tanto che molti sostenitori lo hanno subito letto come una disponibilità a ritornare nel Movimento. «Ho capito bene?», scriveva una sostenitrice «Spero tanto di sì. Posso dirti quindi con tutto il cuore e con gioia "BENTORNATO ALE!!"?? Dimmi di si!». Seguivano decine di commenti in cui lo si invitava a ritornare alla casa madre, unendosi a Conte. Altri che lo davano per fatto (senza smentite di Dibba). I rapporti tra l'ex premier e quello che agli inizi fu, con Di Maio, l'altro volto del M5S sono da tempo riallacciati. I due si sentono, si confrontano. E l'uscita di Di Maio inevitabilmente li riavvicinerà ancora di più. Conte lo riprenderebbe subito. Sarebbe ossigeno per una ripartenza. Il problema è che per Dibba l'ostacolo è il governo Draghi.

E Conte, ora, non può permettersi di ritirare il sostegno. Ma in autunno, chissà. Lo scenario di cui si ragiona trai contiani è di scavallare l'estate e poi, a settembre o ottobre, quando ormai si è a pochi mesi dalle elezioni, dunque uno strappo è indolore, uscire dal governo, magari mantenendo un appoggio esterno. E da lì cominciare con Dibba una campagna in giro per l'Italia. In questo nuovo corso le figure centrali sarebbero poi Virginia Raggi e Chiara Appendino.

 

 



LA FEDERAZIONE - Questo per quanto riguarda il brand M5S, che avrà bisogno di una cura da cavallo per essere rivitalizzato. Quanto alla prospettiva politica, al po- sizionamento, l'esempio che, ieri, andava perla maggiore nei discorsi dei "contiani" è quello di Jean-Luc Melanchon, la vera sorpresa delle elezioni franceX si, l'uomo che è riuscito a creare un fronte di sinistra, Nupes, mettendo insieme sinistra, ambientalisti, sigle vecchie e nuove, e insidiandoEmmanuel Macron. L'idea è di creare una federazione che incroci le strade di Pierluigi Bersani e di Leu, ma anche di Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni e, perché no, di Luigi De Magistris, che da mesi lavora per creare un rassemblement dei "non allineati" e che ha un ottimo rapporto con Conte. Ma elettoralmente quanto può valere? E siamo sicuri che Conte, l'uomo della pochette e delle tante stagioni, possa rappresentare un progetto simile? Chi, ieri, vedeva l'avvenire molto nero era Enrico Letta. «Letta non sa che c... fare», traduceva ieri, in Sala Garibaldi, Matteo Renzi in versione analista. Che succede del campo largo, già molto ristretto, ora che metà M5S se ne va? E può, il Pd, allearsi con un M5S in versione barricadera, che perde Di Maio e recupera Dibba, mandando all'aria l'evoluzione moderata su cui il Pd aveva puntato? Del resto, si ragionava trai dem, non è pensabile allearsi con il nuovo partito di Di Maio e contemporaneamente con il M5S di Conte. Quest' ultimo non lo accetterà mai. Dunque, al Pd resta la bad company, il M5S dimezzato. Una prospettiva non certo entusiasmante. Tanto più se Di Maio farà un soggetto con Beppe Sala. Il rischio è di finire schiacciati a sinistra. «Siamo fregati», per dirla con un altro dem. A meno che non si decida di rinunciare al campo largo, andando ciascuno per proprio conto. Ma ormai la direzione è quella, è troppo difficile tornare indietro. Letta, ieri, predicava calma: «Noi siamo il baricentro, tutto attorno a noi si muove vorticosamente. Nervi saldi». E su Conte e Di Maio raccomandava di non schierarsi anche perché «l'interlocuzione è buona con entrambi, non si può entrare nelle loro dinamiche». E in ogni caso non si può fare niente. Se non aspettare. 

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