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Guido Crosetto, profezia su Putin: "Farà collassare l'Italia, finiremo per sparare a chi arriva"

Guido Crosetto

Pietro Senaldi
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«Ero sottosegretario alla Difesa quando l'Italia decise di far la guerra alla Libia. Mi alzai urlando "siete dei pazzi" finché non fui zittito con durezza dall'allora Presidente della Repubblica, che la voleva a tutti i costi». Invece lei era l'unico sano di mente? «No, conoscevo la Libia e parlavo con loro. Basta ascoltare, talvolta, per capire. È un esempio di quanto la politica sia spesso incapace di difendere gli interessi del Paese. L'Italia prendeva dalla Libia il 70% del petrolio di cui aveva bisogno, per non parlare del gas. Se a Tripoli ci fosse ancora Gheddafi, Putin per noi peserebbe molto meno, per il suo gas. Invece in Libia oggi ci sono russi e turchi...».

E noi facciamo la spola tra un dittatore e l'altro per renderci autonomi da Mosca...
«Quello è il meno. A Putin non serve sganciare una bomba nucleare sull'Europa, ora gli basta aprire i porti libici: può spedirci duecentomila disperati al giorno. Tempo una settimana e ci arrendiamo. Ha visto le scene di Melilla, la scorsa settimana?».
La polizia spagnola che sparava sui clandestini? 
«Stiamo creando le condizioni perché accada in futuro per masse enormi. Si ricorda il film Zombie, quando gli umani asserragliati sparavano su un esercito di cadaveri che li pressava? Ecco: tra un paio di decenni l'Africa avrà due miliardi e mezzo di persone e ne potrà sfamare solo un miliardo. Gli altri saranno dei "morti che camminano", usando un'immagine volutamente forte per far capire la drammaticità, che spinti dalla fame e dalla povertà dovranno salire verso nord».
E trenta milioni di italiani vanno in vacanza, spendono e spandono malgrado l'inflazione, sono tornati i turisti, addirittura più che prima della pandemia. È l'estate delle cicale prima del dramma? 
«Non sono ottimista. Se vuoi una macchina ti dicono che devi aspettare tre anni ma che forse tra un anno potranno comunicarti che non l'avrai mai, perché mancano le materie prime. Significa che le case automobilistiche fattureranno meno e quindi licenzieranno. E l'inflazione è come il diabete, ti corrode senza che tu te ne accorga e piega le ginocchia dei più deboli».
In tutto questo la politica si accapiglia sulla cannabis, lo ius scholae e la legge Zan. Non è stravagante? 
«Io direi il Parlamento, non la politica».
Che differenza c'è? 
«Abbiamo un governo tecnico. Questo significa che la maggioranza dei parlamentari hanno deciso di delegare ad altri la guida dell'Italia e occuparsi di altro. È umanamente comprensibile, visto che deputati e senatori continuano comunque a prendere lo stipendio ed avere i simboli del "potere", per fare solo politica delle parole. Ma il fondamento della democrazia è la delega dei cittadini al Parlamento perché mandi avanti il Paese; se i parlamentari rinunciano a questo ruolo, viene meno il senso di averli lì, e viene meno anche la democrazia».
Lei si ritiene un tecnico al servizio del centrodestra? 
«Io sono troppo concreto per essere un tecnico e mi sono sempre comunque sentito al servizio dell'Italia».
Significa che anche i tecnici vivono distanti dalla realtà, tra super professori di economia e super banchieri? 
«Prima possibile cercherò di spiegare a Draghi e al suo consulente economico Giavazzi che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con le condizioni attuali, non ha speranze di essere realizzato. Abbiamo tirato fuori dal cassetto vecchi progetti di opere pubbliche e gli abbiamo dato una spolverata. Abbiamo ottenuto i soldi ma non sappiamo come mantenere le promesse. Abbiamo disegnato gallerie da finire entro il 2026, ma le talpe per scavarle le avremo solo nel 2027. Non c'è una sola persona in Italia, tra chi se ne occupa, che pensa che rispetteremo i piani».
Nella sua Alba, che fu il primo collegio elettorale, Guido Crosetto respira aria di casa e in una sala dove sono venuti per incontrarlo un centinaio di amici si emoziona più che negli incontri a Palazzo Chigi o nei salotti televisivi. 
«Non parliamo di politica e cose romane, ma di quel che interessa la gente» premette.
Qual è il male dell'Italia? 
«Corriamo con un peso di cento chili sulle spalle, mentre i francesi ne portano 50, gli olandesi 10, la Gran Bretagna zero e i Paesi dell'Est meno ancora. Siamo una nazione tossica per l'iniziativa privata e gli investimenti, per questo tutti se ne vanno. Guardi il superbonus; giusto o sbagliato, il governo si era impegnato a pagarlo e ora ha cambiato idea, con il rischio di far fallire migliaia di imprenditori. Non succede in nessun Paese al mondo che lo Stato cambi le carte in tavola. E l'Ilva, una boutique dell'acciaio, ha rispettato tutte le regole ma è stata fermata da un magistrato a cui non andava bene il suo impatto ambientale. Un pezzo dello Stato che ne ferma un altro. Ma dove vuoi andare così?».
Soluzioni in vista? 
«Il funzionamento dello Stato è semplice: ha bisogno di soldi per andare avanti e li chiede ai mercati. Se lo Stato è affidabile, li ottiene a interessi equi, fino al 3-4%, altrimenti a tassi insostenibile. Il bazooka di Draghi presidente della Bce ci ha consentito di avere denaro a buone condizioni per dieci anni, ora è finita e per garantire i creditori dobbiamo far ripartire l'economia, quindi dobbiamo svegliarci».
Va bene la digitalizzazione, ma basta? 
«Ci vuole un patto tra privato e pubblico. A Singapore i migliori vengono selezionati da bambini per far carriera nello Stato, che dà gli stipendi più alti. Infatti quando ci vai ti sembra di stare su un altro pianeta. Lei sa che le emissioni di debito pubblico in Italia sono decise da burocrati sessantenni pagati 120mila euro lordi l'anno, qualsiasi decisione prendano?».
Un buono stipendio, visti i tempi... 
«Se emettono i titoli dieci minuti prima o dopo possono ballare 800 milioni di interessi, ma nessuno saprà mai se hanno sbagliato o fatto giusto, né chi sono. Perché non chiamiamo cinque trentacinquenni italiani che lavorano a Wall Street e diamo loro in mano la gestione ottimale del nostro debito, pagandoli sui risultati? Possono farci risparmiare miliardi. Certo, li pagherai magari milioni l'anno, visto che in Usa incassano il doppio, ma guadagnandoci molto di più. Ma lo Stato italiano si salva così: pagando chi vale e ci fa crescere e licenziando invece chi prende lo stipendio per bloccare».
Per questo lei vuole licenziare i politici? 
«No, tutt' altro, vorrei una politica in grado di avvalersi dei migliori tecnici che voglia essere guida. Ma la distruzione della politica non è casuale, e non è dovuta ai grillini, che le hanno dato solo il colpo di grazia. Il termine "Casta" è stato studiato a tavolino: serviva ad abbattere una classe dirigente e sostituirla con un'altra, selezionata dal capitale anziché dagli italiani».
Eterogenesi dei fini. È andata molto diversamente: i parlamentari li ha selezionati Grillo pescandoli da internet... 
«Il primo giorno in Parlamento entro nell'Aula, luogo sacro. Mi avvicina un bravo ragazzo: "Ehi ma sei Crosetto? Facciamoci un selfie". "E tu chi sei?". "Un collega". "Alla prima legislatura? No perché, sai? Qui è vietato fare foto". "Macché, sono alla seconda e di foto ne ho fatte già migliaia, dai vieni qui..."».
È nostalgico della Prima Repubblica? 
«No, sono un nostalgico di una classe dirigente che faceva gli interessi del Paese. Perché quel ragazzo ha la terza elementare e tra un anno sarà sulla strada, a meno di quarant' anni. Era garzone di un meccanico quando entrò in Parlamento ma è arrivato a essere vicepresidente di una Commissione e a parlare per l'Italia. Io mi ci sono affezionato, ma cosa ha fatto lì per dieci anni, maturando peraltro un'esperienza che non è attrezzato a rivendersi?».
Crosetto gigante buono. Ma che c'entra con i problemi dell'Italia? 
«Hai creato un Parlamento debole, di gente senza futuro e perciò in vendita, per la promessa di uno stipendio, una busta con quattro soldi dentro. E occhio, c'è un assalto ai beni dell'Italia, che la politica può svendere, e non arriva solo dalla Cina. Pensi anche a qualche nazione europea, che ci sta comprando».
Pensa ai francesi, tornando alla Libia? Da piemontese è amore-odio? 
«Io invidio la capacità francese di occuparsi della loro nazione. Ma pensi ad una cosa, abbiamo avuto a capo di una delle principali banche italiane un banchiere francese che a Parigi non poteva fare il suo lavoro perché condannato. Bene, ha venduto a Crédite Agricole il miglior fondo di investimento italiano, 185 miliardi, 55 dei quali di debito pubblico sottoscritto dai contribuenti italiani. Tre mesi dopo la quota era scesa a poco o nulla e lo Stato ha dovuto cercare altrove gli altri 50.
Capisce cosa significa?».
Significa essere nelle mani di altre nazioni. Come quando, con lei al governo, i tedeschi vendettero miliardi nostro debito in un giorno, lo spread si impennò e Berlusconi fu costretto a dimettersi... 
«Oggi per fortuna sono altri tempi, e l'ho capito dall'ultimo G7. Una cosa però resta certa: il prossimo governo italiano sarà politico, ma a causa dell'immenso debito pubblico per agire dovrà andare dialogare ogni giorno con la Ue e la Bce».
Cos' ha capito dal G7? 
«Per anni ci hanno detto che la politica nulla poteva di fronte ai mercati. Hanno fatto fallire la Grecia, mentre sarebbe bastato che la Germania ne garantisse le emissioni di debito. Ma adesso al G7 si è parlato di mettere un tetto al prezzo del gas. Questo significa che la situazione è drammatica, che gli Stati ne sono consapevoli ma anche che la politica, se vuole, può tutto...».
È una buona notizia? 
«Dipende dalla classe politica che hai».
 

Domani la seconda parte dell'intervista

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