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Mario Draghi non cambia rotta, retroscena: perché la crisi è più vicina

Fausto Carioti
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Giuseppe Conte non tira fuori il M5S dal governo, però rilancia il tormento ne della «discontinuità», col quale Marco Follini assillò Silvio Berlusconi, e dice che Mario Draghi «deve darci delle ragioni per restare», gettando così le basi per andarsene presto. Con ogni probabilità dopo l'estate, in modo che, casomai finisse lì la legislatura, i parlamentari grillini al primo mandato abbiano la garanzia di essere in carica il 24 settembre, giorno in cui matureranno il diritto al vitalizio, giacché la pagnotta viene prima del resto. L'idea, a quel punto, sarebbe di collocarsi all'opposizione, passando magari per l'appoggio esterno al governo, sino alla scadenza naturale della legislatura, e bombardare ogni giorno palazzo Chigi col reddito di cittadinanza, il fondamentalismo ecologista e gli altri temi "identitari" dei Cinque Stelle. Nella speranza di recuperare in quei mesi parte dei voti persi dal 2018 (il 23% degli elettori, circa 7,8 milioni di italiani). Pesa, però, l'incognita Salvini: te aveva da dirgli. I fatti, però, dicono che nulla cambia. Tant' è che il governo ha annunciato che porterà in aula, blindato con la fiducia, il testo del "decreto Aiuti" che è stato approvato in commissione. Lì dentro c'è il via libera all'inceneritore romano, manca la proroga del superbonus e, su iniziativa del centrodestra, è stato dato un giro di vite al reddito di cittadinanza: pun ti sui quali il movimento fondato da Beppe Grillo sembrava pronto a scatenare la guerra, e che sono in net ta contraddizione col docu(...) che farà se il M5S si sfila? Si metterà all'opposizione pure lui? Anche se Draghi ed Enrico Letta, per fare pressione su Conte, dicono che il governo non potrebbe sopravvivere all'abbandono del movimento, i numeri del parlamento lo consentirebbero. Ma se ad andarsene fossero i Cinque Stelle e la Lega, allora sì che la legislatura finirebbe subito, e addio vitalizio. Per i grillini, un motivo in più per andarci cauti. Facile, per i loro avversari, rievocare il motto andreottiano: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». mento conse

IL GIOCO DEL CERINO gnato da Conte a Draghi. E Così ieri, poco dopo le 12, anche se oggi quando è entrato nell'ufficio di Draghi, Conte non aveva con sé un comunicato per annunciare l'addio al governo, ma un documento che, nelle intenzioni sue e degli altri dirigenti del M5S, dovrebbe mettere il cerino acceso nelle mani del premier, scaricare sul suo detestato successore la responsabilità di quello che accadrà. Sette pagine in cui Conte lamenta una «condizione di profondo disagio politico». Quindi snocciola le richieste, tra cui: basta con gli «attacchi pretestuosi e strumentali» al reddito di cittadinanza da parte degli altri partiti, che Draghi deve mettere a tacere con «un chiarimento definitivo»; totale indisponibilità a «favorire investimenti nelle infrastrutture a gas o ad "allargare le maglie" delle concessioni di sfruttamento dei nostri giacimenti fossili», che sarebbe un veto all'estrazione di metano in Adriatico e alla costruzione di rigassificatori; conferma del Superbonus 110% per l'edilizia. Non c'è la richiesta di impedire la costruzione del termovalorizzatore di Roma, prevista nel "decreto Aiuti": è la prova che l'intenzione è quella di andarsene dichiarandosi delusi e traditi, ma non subito. Draghi, in questi casi, tira fuori la faccia da giocatore di poker e l'indole da allievo dei gesuiti. Da palazzo Chigi i suoi uomini assicurano che il colloquio è stato «positivo e collaborativo» e che il premier, manco a dirlo, ha ascoltato con attenzione tutto quello che Conpomeriggio i deputati pentastellati dovessero ingoiare il rospo e votare la fiducia su quel testo, si asterrebbero nella votazione finale, e molti di loro non si presenterebbero in aula, per iniziare a marcare ledistanze. Segni di sfilacciamento che si aggiungono all'insofferenza nei confronti dell'esecutivo manifestata da Matteo Salvini e una parte della Lega. Nessuno, insomma, crede che il colloquio tra Draghi e Conte abbia risolto i problemi. Difficile ci creda anche Sergio Mattarella, che ieri, durante il suo viaggio in Mozambico e Zambia, ha dovuto sentire Draghi per capire qual è il livello di decomposizione dell'alleanza di governo.

 

 

LA TESTA ALLE ELEZIONI I presupposti perché l'esecutivo vada ufficialmente in crisi dopo l'estate ci sono quindi tutti. Raccontano che l'accoglierebbe come una benedizione persino il segretario del Pd, partito che più avrebbe da perdere da una simile situazione, anche perché l'uscita del M5S dalla maggioranza comporte rebbe la fine dell'accordo elettorale con i dem, su cui al Na zareno hanno scommesso tut to. «Letta è stressatissimo e non ne può davvero più», riferiscono ormai in tanti. La smania di visibilità del candidato naturale alla sua sostituzione, il governatore Stefano Bonaccini, si spiega anche così. Prima, però, ci saranno le elezioni.

 

 

 

Resta da capire se si terranno addirittura ad ottobre, come pronostica un big di Forza Italia, osi arriverà a marzo, lasciando che Draghi approvi la legge di bilancio e magari, subito dopo, si chiami fuori, per lasciare che s' insedi un governo elettorale. Anche l'ex presidente della Banca centrale europea non ne può più, ormai da tempo: di Conte, di Salvini e degli altri. C'è un limite a tutto, anche alle pezze che Mattarella può mettere su una situazione sempre più compromessa.

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