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Mario Draghi, Alessandro Sallusti: uno scherzo finito male. Ma forse è un bene...

Alessandro Sallusti
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Lo scherzo è finito male, Mario Draghi si è schiantato in Senato dimostrando ancora una volta di non essere un politico, il suo governo finisce qui e pure la legislatura. Un po' il premier se l'è cercata - c'è chi dice voluta e cinicamente costruita per vendetta alla sua mancata elezione al Colle - con il suo intervento "sono qui solo perché gli italiani me lo chiedono" stile Marchese del Grillo ("io sono io e voi..."). Parole e toni inaccettabili anche per i due leader del centrodestra di governo, due che non si meritavano, né potevano accettare, un simile trattamento visto che parliamo di quel Silvio Berlusconi già quattro volte premier, unico leader ad aver presieduto tre vertici mondiali G8 oltre che sponsor dello stesso Draghi a presidente della Banca centrale europea, e quel Matteo Salvini lì perché votato convintamente da sei milioni di italiani. Ma più in generale lo strappo dei Cinque stelle che sette giorni fa avevano tolto la fiducia a Draghi ha innescato, come prevedibile, un effetto domino.

 

Draghi ha poi volutamente e plasticamente dato l'impressione, ma forse anche qualche cosa di più, di aggrapparsi al Pd (l'incontro finto clandestino con Enrico Letta a poche ore dal dibattito) e questo ha complicato ulteriormente la ricerca di una via d'uscita.

A questo punto è inutile recriminare: meglio così, data la situazione non era più possibile andare avanti. Meglio le elezioni subito che sei mesi di calvario, e non saranno certo questi pochi giorni a cambiare il destino del Paese, destino che finalmente torna nelle mani deputate, cioè quelle degli italiani. Diciamo le cose come stanno: che piaccia o no, la politica e il parlamento, dopo anni di latitanza, si sono riappropriati del ruolo che la Costituzione assegna loro e questo non è un male nonostante parliamo di persone che hanno dimostrato di non essere all'altezza del mandato. Mettiamo pure per qualche ora il lutto al braccio per il fu SuperMario ma poi, per favore, torniamo a vivere, perché la vita vera sta nelle urne, non nei palazzi. 

 

Chissà mai che dopo tredici anni l'Italia possa essere governata da una coalizione e da un premier scelti dai cittadini, cosa che è il presupposto perché un governo funzioni. "Il Re è morto, viva il Re", dicevano i francesi annunciando la transizione del potere. A me la discussione sul governo morto poco appassiona, se è morto significa che era malato grave. Più interessante è concentrarci su come il centrodestra saprà costruire le condizioni per vincere le elezioni. Non sarà una passeggiata, ma il dado è tratto. All'apparenza Meloni, Salvini e Berlusconi hanno a disposizione un calcio di rigore. C'è solo da augurarsi che non accada come al Divin Codino Roberto Baggio ai mondiali del '94 nella finale Italia-Brasile.

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