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Alessandro Di Battista fatto fuori? Ecco perché può sparire dal M5s

Andrea Valle
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Tutti lo evocano come possibile trascinatore di un Movimento Cinquestelle in drammatica crisi, ma Alessandro Di Battista potrebbe non riuscire a candidarsi. A frenare la sua corsa alle Politiche è un cavillo giuridico, una regola che potrebbe far naufragare le sue ambizioni di diventare il frontman dei pentastellati in cerca di riscatto. A far notare l'inghippo sarebbero, per altro, alcuni dei fedelissimi di Giuseppe Conte che non vedono poi tanto di buon occhio l'ex pupillo di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: «Tirerà elettoralmente, ma ci mettiamo un guaio in casa per 5 anni», è il timore che rimbalza. Sarà anche per questo che tra i due, Dibba e Conte, a quanto apprende l'Adnkronos, non ci sono stati al momento contatti, nonostante "il Che Guevara di Roma nord" abbia dato, nelle settimane scorse, la sua disponibilità a sedersi a un tavolo vista la caduta del governo Draghi, ma con richieste "politiche" che non vuole vengano ignorate per tornare a ragionare su un suo ritorno.

 

Alessandro è ancora in viaggio, seguendone le tracce sui social si trova a Vladivostok in queste ore. Rientrerà in Italia, con la famiglia, ai primi di agosto. Gli ex parlamentari a lui più vicini lo descrivono sereno, certo non così smanioso di tornare a sedere in Parlamento, a meno di una proposta seria, da leader. Giuseppi lo vorrebbe in campagna elettorale perché l'ex deputato, un tempo amico per la pelle di Luigino Di Maio, funziona in tv e sui social, con le sue sparate e la sua patente di "senza macchia". In più, la scelta di non ricandidarsi nel 2018 gli consente di poter correre adesso, con un solo mandato alle spalle, beffando tanti parlamentari che invece, a causa della regola aurea voluta da Grillo, sono costretti a dire addio al seggio. Eppure, è proprio per una norma grillina che Dibba potrebbe saltare.

 

Infatti, da statuto pentastellato, chi vuole candidarsi deve essere iscritto alla piattaforma di Skyvote da almeno sei mesi mentre "l'inviato" del Fatto quotidiano si è disiscritto dal M5S subito dopo esserne uscito, in dissenso con la decisione dei vertici pentastellati, validata dalla Rete, di appoggiare il governo Draghi. In sintesi, per poter "vidimare" la sua candidatura servirebbe una deroga, che passa dal disco verde del garante Grillo, il quale, tuttavia, continua a essere granitico nella difesa delle regole interne, dalle parlamentarie (e qui il dibattito è in corso) al principio di territorialità al niet sulle pluricandidature. Poi c'è il problema del simbolo da depositare entro il 14 agosto. Previste da statuto, Grillo pretende che la selezione di potenziali deputati e senatori passi da quella strada, nonostante i tempi strettissimi, mentre Conte avrebbe chiesto di allargarne le "maglie", con un sistema misto che gli consenta quanto meno di indicare i capilista e blindare una manciata di fedelissimi. Intanto, altri due pezzi da novanta hanno sbattuto la porta. Si tratta dell'ex ministro Federico D'Incà e del capogruppo Davide Crippa. Grillo non si scompone più di tanto: «Compiangiamo chi di noi è caduto e non ha resistito al contagio» degli zombie.

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