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Centrodestra, ecco il piano per cambiare la Costituzione

Fausto Carioti
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L’ultima bozza del programma del centrodestra, che i suoi autori considerano quasi definitiva, è lunga appena nove pagine. Una sorta di minimo comun denominatore dei progetti di Fdi, Lega, Forza Italia e della lista centrista di Giovanni Toti e Maurizio Lupi. Eppure ciò che è scritto lì basta e avanza a confermare i peggiori timori del Partito democratico e dei suoi alleati: i loro avversari vedono un'ampia vittoria a portata di mano e puntano ad una profonda riscrittura della Costituzione e dell'architettura istituzionale. Ottenere il 25 settembre una maggioranza qualificata dei due terzi dei membri di Camera e Senato, obiettivo difficile da raggiungere secondo le simulazioni uscite in questi giorni, sarebbe importante, ma non decisivo. Approvare la riforma della Costituzione con una simile forza parlamentare eviterebbe il referendum confermativo (quello che Matteo Renzi perse dolorosamente nel dicembre del 2016) e renderebbe il nuovo testo immediatamente vigente, ma avere a disposizione una maggioranza "semplice" del 55-60% dei parlamentari, traguardo che le stesse analisi danno per probabile, permetterebbe comunque di cambiare la Carta senza cedere a compromessi con le altre forze politiche, confidando poi nel voto favorevole degli elettori.

 

 

MODELLO AMERICANO
La grande domanda, quindi, è: gli italiani sono favorevoli al presidenzialismo? Perché il primo punto delle «Riforme istituzionali e strutturali» elencate nel programma del centrodestra è proprio la «elezione diretta del presidente della repubblica». Le premesse sono buone: secondo un sondaggio fatto a gennaio dall'istituto Swg, il 63% degli elettori che avevano un'idea in proposito si è detto d'accordo con questa (enorme) novità, solo il 37% si è dichiarato contrario. La più importante delle riforme scritte nell'agenda del centrodestra è formulata comunque senza chiarire se il modello da adottare sarà quello statunitense o un altro. Il presidenzialismo "all'americana" è previsto nel disegno di legge presentato da Giorgia Meloni in questa legislatura: introduce l'elezione diretta (con ballottaggio, qualora al primo turno nessun candidato abbia la maggioranza dei voti) del capo dello Stato, che ai poteri attuali aggiungerebbe quelli di presiedere il consiglio dei ministri, dirigere la politica generale del governo e revocare i ministri. Ci sarebbe comunque un primo ministro, da lui nominato.

La Lega, tramite Roberto Calderoli, ha presentato invece una proposta che si limita a introdurre l'elezione diretta del presidente della repubblica, senza cambiare le sue prerogative, mentre Forza Italia (tramite il deputato Paolo Russo, da poco passato ad Azione) aveva pensato al semipresidenzialismo modello francese, in cui il presidente della repubblica, eletto direttamente dai cittadini, non è capo dell'esecutivo, ma ha comunque il potere di nominare il primo ministro. Saranno i rapporti di forza e gli accordi tra i partiti a decidere quindi la strada da prendere. Fratelli d'Italia ha già messo in chiaro, nella sua proposta, che «il presidenzialismo, con la sua garanzia dell'indissolubilità dell'unità nazionale, consentirebbe di aprire ad avanzati esperimenti di federalismo»: una strizzata d'occhio alla Lega, in vista di un possibile do ut des. Non è un caso, quindi, che tra le grandi riforme elencate nel programma della coalizione, subito dopo il presidenzialismo, appaiano «il riconoscimento delle Autonomie» già previste dalla Costituzione e la «piena attuazione della legge sul federalismo fiscale e Roma capitale». Proprio la modifica della Costituzione per dare più poteri alla capitale, inclusa una potestà legislativa paragonabile a quella che detengono le regioni, è prevista da alcune proposte di legge presentate da Fdi e da Forza Italia: nel caso in cui il centrodestra metta mano alla Carta, è quindi scontato che si affronti pure la "questione romana", una volta trovata la necessaria intesa con la Lega.

TENTAZIONE SORTEGGIO
Pure le altre modifiche costituzionali su cui il centrodestra si è accordato fanno rumore solo a leggerle, perché riguardano la giustizia: sono la separazione delle carriere dei magistrati e la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Nessuno dei partiti della coalizione, infatti, è rimasto soddisfatto dalla riformicchia scritta nei mesi scorsi da Marta Cartabia. Il documento non specifica se i membri del nuovo Csm (inevitabilmente destinato a essere diviso: una parte si dedicherà ai magistrati giudicanti, l'altra ai requirenti) saranno davvero sorteggiati, come chiesto nei mesi scorsi da Fdi e Forza Italia (e come consiglia Carlo Nordio, possibile futuro guardasigilli), ma la sollevazione della sinistra e delle correnti della magistratura è comunque assicurata. Lo scopo finale è garantire un processo «giusto» e «di ragionevole durata», e chiudere la lunga era dei «processi mediatici». Vasto programma davvero, che va dal Quirinale ai tribunali e molto probabilmente riguarderà anche la legge elettorale. Ma se i numeri del nuovo parlamento saranno quelli ipotizzati da certe simulazioni sarebbe un errore storico non provarci, perché chissà quanti decenni dovranno passare perché si ripresenti un'opportunità simile. 

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