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Enrico Letta al governo? Imprese spappolate e debito da record

Sandro Iacometti
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Vi ricordate della Trise? Difficile, visto che l'ipotesi durò il tempo di una saetta. Indimenticabile, invece, è il teatrino che andò in scena nell'autunno del 2013 per tentare di camuffare l'Imu sotto falso nome. Tarsu, Tares, Taser, Tuc. Fu dato libero sfogo alla fantasia. Poi alla fine il governo guidato da Enrico Letta (sì, lo stesso che ora si candida di nuovo a comandare l'Italia) optò per Iuc, Imposta unica comunale, che inglobava la vecchia Imu e la nuova Tasi, una tassa sui servizi urbani prima messi a carico della fiscalità generale. Dietro la rivoluzione lessicale, ovviamente, il nulla. Anzi, una mini stangata. Nel 2014 il balzello nato per superare l'odiata imposta municipale produsse un gettito complessivo di 23,9 miliardi. Nel 2012 l'Imu introdotta da Mario Monti aveva portato nelle casse dello Stato 23,8 miliardi. A dimostrazione della sostanziale inutilità della mossa (che ha comunque provocato non pochi grattacapi ai contribuenti per l'astrusità del suo metodo di calcolo) va anche ricordato che nel 2019 il governo Pd-M5S ha definitivamente archiviato Iuc e Tasi, reintroducendo l'Imu.

 

 

I VINCOLI DI BRUXELLES
Nel 2013, però, l'imposta sulla casa, seppure temporaneamente e non del tutto, fu abolita davvero. L'indignazione popolare per la valanga di tasse e di tagli piovuta con il governo tecnico del professore bocconiano, spinse Letta, portato a Palazzo Chigi da una traballante coalizione allargata (che dopo qualche mese si trasformò in una sorta di monocolore dem con l'uscita del Pdl), ad annullare la prima rata dell'Imu sulla prima casa e a ridurre parzialmente la seconda (a gennaio 2014 ci fu lo psicodramma della cosiddetta mini-Imu). Buco di bilancio previsto: circa 4 miliardi.

LA TAGLIOLA SULL'IVA
Nel frattempo il premier dem si è trovato tra capo e collo anche il problema delle clausole di salvaguardia, tagliole imposte dalla Ue a a partire dal 2011 (con il governo Berlusconi) che impongono di alzare le tasse se non si riduce la spesa. Il menù per il 2013 prevedeva l'aumento di un punto di Iva, dal 21 al 22%, valore stimato per un anno: circa 4 miliardi. Come trovare i soldi senza irritare Bruxelles, che pretendeva un rapporto deficit/pil almeno al 3%, come quello lasciato da Monti? Facile, coprendo i buchi delle minori tasse con altre tasse.

AZIENDE SPENNATE
Nasce da qui l'idea di innalzare le aliquote degli acconti Ires per le imprese. Senza pensarci due volte Letta portò al 102,5% gli anticipi di tutte le aziende sul 2014 e addirittura al 130% quelli di banche e assicurazioni, che a sinistra si possono spennare senza alcun problema. Anzi, ricevendo pure qualche applauso. In sostanza, invece di favorire il rilancio dell'economia dopo la drammatica crisi dei debiti sovrani e un 2012 da incubo, l'attuale segretario del Pd ha utilizzato gli imprenditori come bancomat, chiedendo di pagare un acconto sulle tasse più elevato del totale stimato per l'anno successivo e togliendo liquidità preziosa al tessuto produttivo. Geniale.

 

 

VOLANO DEBITO E TASSE
Il risultato della strategia adottata da Letta nei suoi 300 giorni di governo è messo nero su bianco negli indicatori di finanza pubblica registrati dall'Istat. Il deficit/pil è rimasto al 3%, come chiedeva Bruxelles. Il debito pubblico, però, è schizzato per la prima volta sopra i 2mila miliardi, raggiungendo a fine 2013 il 132,6% del pil. Record assoluto dal 1990, quando sono iniziate le serie storiche dell'Istat, e oltre 5 punti più in alto del 127% lasciato da Monti. Il leader dem, anche se può sembrare impossibile, è riuscito a battere il professore pure sul terreno dei balzelli. Anche perché alla fine, anticipi o no spillati alle imprese, l'Iva al 22% c'è arrivata comunque (a partire dall'ottobre 2013), lasciando alla storia l'unico aumento di tasse imposto dalle clausole di salvaguardia non sterilizzato in qualche modo dal governo (come fecero Monti prima e Renzi-Gentiloni dopo). Ed è così che durante il governo Letta la pressione fiscale (dato certificato dall'insospettabile Osservatorio di Carlo Cottarelli, oggi candidato col Pd) è arrivata al 43,4% del Pil, un decimale in più del 43,3% raggiunto da Monti con le sue manovre lacrime e sangue e ad un passo da livello record del 43,5 registrato lo scorso anno. Ma i record non sono affatto finiti qui. L'abile gestione dell'economia portata avanti dal premier del Nazareno nel 2013 ha fatto precipitare il Pil dell'1,9% (dopo il -2,4% del 2012) portandolo al di sotto del livello del 2000. I consumi delle famiglie sono scesi del 2,6% (-4% nel 2012), con picchi negativi per l'abbigliamento, la sanità e l'alimentare, settore quest'ultimo dove la spesa ha toccato il livello più basso di sempre (anche qui dall'inizio delle serie storiche nel 1990).

PIÙ DISOCCUPATI
Volendo si potrebbe proseguire con l'aumento dei disoccupati, saliti a 3,1 milioni (+13,4%), o con il crollo degli investimenti del 4,7%. Ma forse per tenere nella memoria il passaggio di Enrico Letta a Palazzo Chigi basta pensare all'imposta di bollo che paghiamo periodicamente sui nostri risparmi in banca (ovviamente frutto di guadagni già tassati). L'idea originaria, va detto, è di Monti. Ma se oggi ce la ritroviamo al 2 per mille il merito è tutto del segretario dem, che invece di abolire quella in vigore all'1,5 decise nella manovra finanziaria di incrementarla a partire dal 2014. 

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