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Pnrr, se adesso è l'Europa a voler cambiare il "piano intoccabile"

Mario Draghi  

Sandro Iacometti
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Mario Draghi, che ha approfittato di una visita alla Direzione nazionale antimafia per dare un po' di direttive, dice che bisogna accelerare sul Pnrr perché «non è un piano di un governo, ma di tutta l'Italia e ha bisogno dell'impegno di tutti per garantirne la riuscita nei tempi e negli obiettivi previsti». Un messaggio all'opposizione, che dovrebbe evitare sgambetti, o al governo che dovrebbe smetterla con questa fissazione di volerlo cambiare? Non si sa esattamente. Però da ieri c'è una novità. Modificare il Recovery non è più un peccato capitale. E a dirlo non sono i soliti sovranisti, sempre a caccia di polemiche, ma l'Unione europea.

Eh sì, abbiamo passato le ultime settimane ad ascoltare le strigliate della sinistra e delle istituzioni Ue contro la proposta di Giorgio Meloni di mettersi tutti (compresa l'Europa) intorno a un tavolo per verificare se il Pnrr sia ancora adatto ad affrontare le emergenze che ci troviamo oggi di fronte. Apriti cielo. "Solo piccole modifiche", hanno continuato tutti a ribadire. Ed ecco che ieri all'Ecofin di Lussemburgo i ministri delle finanze europei hanno deciso che era il caso di inserire nel Next Generation Eu addirittura un nuovo capitolo. Si tratta del RepowerEu, un maxi piano da oltre 200 miliardi (su cui la Corte dei Conti europea ha espresso più di una perplessità per la sua vaghezza) che consiste nello spingere l'acceleratore sulle rinnovabili per liberarsi dalle fonti fossili em quindi, anche dai ricatti di Putin.

 

 

Il problema è che il Repower non ci dice dove trovare il gas questo inverno o come abbassare i costi delle bollette, ma solo come accelerare la transizione verde. Un orizzonte temporale, insomma, tutt' altro che a portata di sguardo. Eppure, tutti d'accordo e anche con un po' di orgoglio (visto che sul resto si continua a litigare), il piano è stato inserito a forza in quel Pnrr che finora era stato descritto come un monolito impenetrabile, inalterabile e immodificabile. Certo, si potrebbe dire che si tratta del solito primo passo che dovrà attraversare le forche caudine dell'iter legislativo europeo (commissione, parlamento e consiglio europeo) per diventare operativo. E non è affatto detto che la corsa ad ostacoli abbia successo.

Ma anche per questo motivo, perché non proporre di dirottare altre risorse del Recovery per misure anti-crisi più immediate? O ancora meglio, come hanno suggerito i commissari Thierry Breton e Gentiloni copiando l'idea di Draghi di qualche mese fa, di usare il fondo Sure, dedicato all'occupazione, per aiutare le imprese e le famiglie in difficoltà?

 

 

La risposta non è difficile. Perché la Germania, che ieri ha continuato a minimizzare il suo scudo privato da 200 miliardi («C'è stato un malinteso»), non vuole saperne. «Ulteriori proposte basate sul programma Sure non sono giustificate in questo momento. Non si possono replicare gli strumenti usati durante il Covid», ha tagliato corto , il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner. Lo stesso dicasi per gli alleati di Berlino. «Mi sembra non sia l'opinione generale all'interno della Commissione», ha detto il ministro delle Finanze austriaco, Magnus Brunner. «Non dobbiamo per forza inventare nuovi strumenti per ogni nuova situazione, ci sono miliardi e miliardi disponibili e vanno usati quelli», ha chiarito la sua omologa olandese, Sigrid Kaag, facendo riferimento all'ipotesi di usare i fondi di coesione non ancora utilizzati. Soldi destinati alle aree svantaggiate la cui sottrazione rischierebbe perfino di peggiorare le cose. Insomma, non se ne esce. E le crepe dell'Unione diventano sempre più vistose. Non è un caso che la Meloni ieri abbia deciso di parlare non solo come leader di Fdi ma anche a nome dei Conservatori europei, di cui è presidente. Se la casa crolla, in qualche modo andrà ricostruita, magari con nuove fondamenta. 

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