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Cara Giorgia, cambia la legge sui finanziamenti ai partiti

Fausto Carioti
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Modesto appello alla "nazionalista" Giorgia Meloni e alla maggioranza: se volete evitare ingerenze dall'estero, cambiate le norme che regolano (si fa per dire) il finanziamento ai partiti. Nulla, oggi, impedisce a soggetti stranieri di influenzare i processi della nostra democrazia. Ieri è stato lo speculatore ungherese George Soros, domani potrebbe essere un oligarca amico di Vladimir Putin o un ricco statunitense legato alla lobby democratica pro-aborto o ai repubblicani interessati a venderci lo shale gas. Le norme in vigore gridano che simili intromissioni sono impossibili, ma i fatti dicono il contrario: non esistono vincoli che impediscano a un privato di qualunque nazionalità, che abbia i soldi e la volontà di "investirli" così, di staccare assegni milionari ai partiti italiani. Lo dimostra proprio il modo in cui lo speculatore ungherese ha finanziato +Europa, il partito di Emma Bonino. La legge del 2014 stabilisce che «ciascuna persona fisica» non può effettuare «erogazioni liberali in denaro o comunque corrispondere contributi in beni o servizi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, anche per interposta persona o per il tramite di società controllate», in favore di un partito, per un valore superiore ai centomila euro annui.


Pare scritta con l'accuratezza necessaria a chiudere ogni possibile scappatoia, ma non è casì. Niente, infatti, ha proibito alla «persona fisica» di Soros di donare, all'inizio del 2019, quasi 200mila euro a +Europa. Gli è bastato staccare un assegno da 99.789 euro, a proprio nome, il 22 gennaio, e di farne firmare un altro, di identico importo, a sua moglie, Tamiko Bolton, otto giorni dopo. Che si trattasse di una "finzione giuridica" (diciamo così) lo ha confermato la stessa Bonino, raccontando in pubblico che Soros aveva «dato 200mila euro» al suo partito.
I vincoli ai finanziamenti da parte di soggetti stranieri sono stati introdotti nel 2019, col provvedimento pomposamente battezzato "Spazzacorrotti" dal movimento Cinque Stelle, che lo scrisse e lo impose tramite l'allora guardasigilli, Alfonso Bonafede. Vieta ai partiti «di ricevere contributi, prestazioni o altre forme di sostegno provenienti da governi o enti pubblici di Stati esteri e da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero non assoggettate a obblighi fiscali in Italia». Fu formulato in questo modo, ha spiegato la grillina Anna Macina, all'epoca sottosegretaria alla Giustizia, perché «in una democrazia sono inopportune ingerenze dall'estero, di qualsiasi tipo».

 


Il risultato parla da solo: Soros, come si è visto, ha appena dato un milione e mezzo di euro a +Europa. Gli è bastato operare direttamente, anziché attraverso una persona giuridica, per vanificare il divieto fissato dallo "Spazzacorrotti". E suddividere quel milione e mezzo in una molteplicità di donazioni, ognuna inferiore ai centomila euro, destinate ad altrettanti candidati di +Europa, gli ha consentito di eludere le norme del 2013. Tutto legale. Ma sono proprio la legalità e la facilità di queste operazioni, in contrasto con lo spirito della legge, che dovrebbero spingere la maggioranza a farsi qualche domanda. Se si vuole garantire ai miliardari di ogni nazionalità e colore la libertà di promuovere le loro battaglie tramite i partiti italiani, e dare a questi ultimi la possibilità di attingere ai ricchi finanziamenti provenienti dall'estero, ovviamente lo si può fare. Però tanto vale, a quel punto, dare un calcio all'ipocrisia e abrogare le proibizioni in vigore, enfatiche nella forma quanto risibili nella sostanza. Altrimenti, se si crede che certe "attenzioni" milionarie possano minacciare gli interessi nazionali, influendo sulle ragioni per cui nascono certe alleanze e sulla produzione delle leggi, si agisca. 

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