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Enrico Letta e Pd, morte in piazza: cos'è successo davvero al corteo

Fausto Carioti
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L'abisso che si para davanti al Pd di Enrico Letta è lo stesso in cui è precipitato il Partito socialista francese: alla sua destra i riformisti alla Emmanuel Macron, dall'altra parte il fronte di sinistra di Jean-Luc Melenchon, «non allineato» con la Nato: in mezzo, una forza politica un tempo potente che scopre con orrore di non avere più nulla di credibile da raccontare agli elettori. Si comincia con l'incapacità di parlare a quella che un tempo era la propria base, e da lì all'irrilevanza il passo è breve. Ieri si è visto che il Pd, sceso ancora nei sondaggi dopo la batosta del 25 settembre (dal 19,1 al 17,4%, sempre più giù), la prima parte della strada verso il baratro l'ha già percorsa tutta.

Di fronte alla questione ucraina che porta in piazza la Cgil, l'Anpi, le Acli, la comunità di Sant' Egidio, Emergency e tutti i movimenti pacifisti e terzomondisti, il primo partito d'opposizione non ha un discorso coerente da fare, e il popolo della pace che insiste a corteggiare glielo grida in faccia. L'idea è di quelle che difficilmente avrebbero potuto funzionare un tempo, con un leader dotato di carisma e meno malconcio; figuriamoci oggi, con un Letta così. Si trattava di non regalare a Giuseppe Conte, che nella trasposizione italiana del dramma francese prova a vestire i panni di Melenchon, i sessantamila che sono scesi in piazza a Roma, benedetti dal presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi.

Bandiere arcobaleno (quelle della pace, ma anche delle associazioni Lgbt, mobilitatesi pure loro), bandiere rosse e bandiere russe (nessuna dell'Ucraina), compagni che gridano «Fuori l'Italia dalla Nato, fuori la Nato dall'Italia», il solito manipolo di Rifondazione comunista. E a tenere insieme tutti costoro e gli altri, la richiesta al governo di non inviare più armi a Kiev, in nome di una sostanziale equidistanza tra l'aggressore russo e l'aggredito ucraino, che in certuni serve solo a mascherare la simpatia per il primo.

IL POSTO SBAGLIATO
Non proprio la piazza giusta per uno come Letta, insomma. Cioè per il leader di un partito che si proclama «non equidistante» e sino a pochi giorni fa ha avuto un proprio esponente alla guida del ministero della Difesa, ha votato tutti i decreti per l'invio delle armi in Ucraina e presto, al bivio tra l'obbedienza a Washington e la necessità di fare opposizione, potrebbe scegliere la prima strada e votare anche il prossimo decreto (intanto prende tempo: «Quando il governo farà una proposta valuteremo»).

Così i manifestanti lo hanno accolto come pensavano che meritasse. «Enrico Letta sei un assassino e un guerrafondaio», gli ha detto un gruppo di quelli che una volta, forse, votavano Pd. Si è preso la sua dose di fischi e contestazioni, mentre Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione, andava dicendo che «Letta è un guerrafondaio infiltrato tra i pacifisti». Umiliazione finale, la solidarietà dei renziani, con Maria Elena Boschi che scende in campo per difenderlo: «È ingiusto insultare il segretario del Pd e chiedergli di uscire da una manifestazione per la pace».

I cori di apprezzamento, i sorrisi ed i selfie erano per l'altro. Dalla piazza romana, il Conte Melenchon ha ottenuto tutto ciò che cercava, pur essendo il suo curriculum, al riguardo, identico a quello di Letta.

Anche il capo dei Cinque Stelle, sinora, ha votato in favore di tutte le forniture di armi all'esercito di Volodymyr Zelensky, ma è percepito come la nemesi del filo-atlantico Mario Draghi. Così gli basta dire che occorre un cessate il fuoco immediato (che congelerebbe la presenza dell'esercito russo in territorio ucraino) e che l'Italia non deve mandare più nemmeno una fionda all'Ucraina, «già armata di tutto punto», per confermarsi il leader capace di intercettare meglio gli umori anti-americani e anti-meloniani di quei sessantamila. E infatti la sera, al Tg1, Conte parlerà di Letta col tono del padrone di casa che spiega le regole all'invitato: «Non si può stare in piazza e poi non essere conseguenti in parlamento», quando si voterà a favore o contro l'invio delle armi.

L'ALTRA PIAZZA
Il problema, per il segretario del Pd, è che nemmeno l'altra piazza, quella di Milano, era la sua. L'avevano convocata i Macron de noantri, Carlo Calenda e Matteo Renzi, schieratissimi con l'Ucraina, proprio per prendere le distanze dalla manifestazione "pacifinta" della capitale. «Qui nessuno avrebbe contestato Letta, sarebbe stato solo applaudito», ha detto il leader di Azione. E magari è pure vero, ma sotto l'Arco della pace, a dire «Slava Ukraini», erano appena in cinquemila e tutti, o quasi, elettori del terzo polo. La sinistra militante era a Roma, e non marcare quel territorio, lasciarlo in monopolio a Conte, non è nella tradizione del grande partito di massa erede del Pci. Anche se la massa non c'è più, e ciò che ne resta si rispecchia sempre meno nel Pd.

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