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Antagonisti climatici, meglio imbrattare le vetrine che cercare lavoro...

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Tommaso Lorenzini
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Dichiarazione congiunta, manifestazione congiunta, confusione congiunta. Movimento Disoccupati 7 novembre, Fridays For Future Napoli e svariate altre sigle di collettivi avevano promesso di «convergere e insorgere insieme» e l'hanno fatto, ieri a Napoli. Con l'intento di far sentire la loro voce «contro la guerra», «contro i costi sociali», e ovviamente anche contro il nuovo governo Meloni. Un potpourri di argomenti e argomentazioni arrugginiti tanto quanto il linguaggio adoperato, un sinistrese da occupazione scolastica: «Serve un'azione immediata dei governi», dice Davide Dioguardi di Fridyas for Future, «l'orologio climatico è chiaro. Mancano sei anni al punto di non ritorno. Oggi davanti ad una destra sovranista, nuclearista, inceneritorista e che ha già anticipato di voler fare azzerare quelle poche, insufficienti, sparute misure di welfare che soprattutto negli ultimi tre anni hanno salvato la vita di migliaia di persone (vale a dire il Reddito di cittadinanza: ma pensa... ndr). Il vostro tempo è finito, siamo e saremo natura che insorge!».


Il risultato? Le vetrine di Gucci, Prada e Louis Vuitton imbrattati con salsa di pomodoro, perché «Napoli è la città più povera d'Europa, tra le prime vittime della crisi climatica e della devastazione ambientale. Quei marchi sono il simbolo di un'opulenza che avvantaggia solo i più ricchi e affama milioni di persone». E poi, a contorno, per non farsi mancare niente, lanci di petardi, bengala, cassonetti rovesciati e la vandalizzazione delle vetrate di una banca e di un negozio di alimentari.


Si fatica a comprendere cosa c'entri tutto questo con l'allarme climatico, si fatica a comprendere la ratio degli striscioni baldanzosamente portati per strada con su scritto: «Fine del mese, fine del mondo. Il nostro lusso è sopravvivere», e «il lusso non è sostenibile». Più che lotta ambientalista puzza di lotta di classe, basata sui soliti presupposti cari alla sinistra dell'invidia sociale. Ai contestatori la lezione (persa, evidentemente) l'ha data poche settimane il fondatore di Patagonia Yvon Chouinard, azienda leader nella produzione di capi di abbigliamento outdoor, premiato come marchio «più green e democratico dell'anno» eppure anche questo simbolo del lusso, visti i prezzi dei prodotti. Il patron francese ha annunciato che cederà la compagnia a un fondo ad hoc e a un'organizzazione non profit per assicurarsi che tutti i profitti vengano reinvestiti nella lotta alla crisi climatica. La compagnia è valutata circa 3 miliardi di dollari e può contare su utili di circa 100 milioni di euro all'anno. Chiamiamolo lusso sostenibile, che fa fico, però certamente può avere anche effetti pratici rispetto alle inutili proteste di ieri. Ma si sa, per chi era in piazza è più comodo e meno faticoso andare a imbrattare le vetrine e chiedere il reddito grillino piuttosto che farsi il mazzo per farsi assumere magari da quei marchi del lusso, tramite i quali migliorare nei fatti le cose. 

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