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Spoils system, ogni governo sceglie i suoi uomini: quando nasce il "sistema"

Corrado Ocone
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 "Meloni pigliatutto" titolava ieri in apertura La Repubblica. E anche il Corriere della sera, solo apparentemente più misurato, non era da meno: in tono preoccupato nelle pagine di cronaca politica segnalava con evidenza: "Spoils system, il governo va avanti". I commenti erano tutti allarmati, spingendosi a prefigurare un'"occupazione dello Stato" da parte della destra al potere, anzi una vera e propria volontà di "cambiare lo Stato" (sempre Repubblica).

Al cambio di direzione all'Agenzia del Farmaco, ove il ministro della Sanità Salvatore Schillaci ha cessato il rapporto con il vecchio Direttore generale Nicola Magrini, secondo i giornali presto sarebbero seguite altre "rimozioni" più o meno eccellenti e tutte, sembrerebbe di capire, profondamente sbagliate e pericolose. Ai giornali, d'altronde, aveva dato il là Enrico Letta, il quale, il giorno prima aveva scritto su Twitter che l'allontanamento di Magrini «è una scelta di discontinuità grave e sbagliata: una scelta di parte che è un segnale pericoloso e preoccupante». 

In verità, ad essere faziose e preoccupanti, nel senso che non tengono in conto l'abc della democrazia, sono proprio queste posizioni. Il cosiddetto "spoils system", cioè la pratica politica che prevede che gli alti dirigenti della pubblica amministrazione siano nominati dal governo in carica, è infatti la cifra più caratteristica di un regime democratico: nata in America nell'Ottocento, essa è da allora la garanzia che un governo legittimamente eletto possa scegliersi i suoi uomini di fiducia per realizzare il programma con cui si è presentato agli elettori ricevendone il consenso. Di alti burocrati che, proprio in quanto scelti da governi precedenti e quindi con altri rapporti di lealtà, hanno intralciato in passato l'azione governativa, la storia patria è fin troppo piena.

Il risultato che ne è conseguito, vera e propria anomalia del sistema italiano, è stata una "palude" ove i gruppi di potere si sono elisi a vicenda tanto da generare una ingovernabilità di fatto. In questa situazione, la stessa responsabilità politica non era facilmente imputabile ad un soggetto specifico, con grave nocumento per il giudizio degli elettori, i quali devono essere messi in condizione di poter valutare l'operato di un esecutivo e, se del caso, di non confermargli la fiducia nelle elezioni successive. È nei regimi autocratici che le burocrazie sono inamovibili, mentre in democrazia il principio del "ricambio" e della "circolazione delle classi dirigenti" è fondamentale. Oltre a questa allergia alle procedure della democrazia, dalle parole di Letta e dall'allarme dei mezzi di informazione emerge anche un'altra perniciosa idea, e cioè che solo i governi di sinistra possano esprimere o nominare persone competenti, esperte, capaci: un chiaro sintomo di spocchia e presunta "superiorità morale" che la realtà ha già ampiamente smentito coi fatti. 

Particolarmente significativo è, da questo punto di vista, il can can che ha corso in questi giorni per scongiurare un eventuale allontanamento dalla direzione generale del Tesoro di Alessandro Rivera, che si dice essere inviso al premier, ma che sicuramente viene ritenuto risorsa preziosa dal deep state. Tanto da generare domande, sinceramente ridicole, del tipo: «Se Rivera va via, chi parlerà con l'Europa?». Quasi che un Paese come l'Italia abbia bisogno di un singolo burocrate, di cui qui non si discutono ovviamente le capacità personali, per partecipare al gioco democratico continentale. Surreale! In definitiva, quello che emerge da tutta questa vicenda è il reiterato tentativo da parte della sinistra di mettere il bastone fra le ruote al governo in carica, conservando posizioni di potere di interdizione ed anche d'azione. In barba, come sempre, a quello che hanno voluto gli elettori.

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