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Bella Ciao che c'entra coi cortei per l'Iran? Il provincialismo di sinistra

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Tutto quel che si può fare a contrasto dei crimini di cui si sta rendendo responsabile il regime iraniano va benissimo, ma trasformare la denuncia in una tiritera da glamour resistenziale va invece tutt'altro che bene, e avvolge quelle manifestazioni in un'arietta provinciale che le svilisce al rango della solita petulanza italianona.

Qualcuno dirà che cerchiamo il pelo nell'uovo, ma era fastidioso il canto di Bella Ciao che si levava ieri dal meritorio assembramento napoletano contro la selvaggia repressione della protesta iraniana. Era inopportunamente pittoresco e inadeguato, cioè volgare, non meno che la scena delle leggiadre svampitelle che si tagliano una ciocca di capelli in favore di smartphone per dimostrarsi vicine alle ragazze che rischiano e perdono la vita laggiù.

Si è nei decenni caricata di retorica così insopportabile, quella canzone, posta a giustificare il generalizzato reddito da 25 aprile di cui gode l'esercito di pappagalli abituato a ripeterla, che è quasi un insulto sentirne le note a colonna sonora delle requisitorie che mandano a morte i giovani iraniani. Quel motivetto, adoperato a contrasto di crimini indicibili come il mancato rinnovo di un contratto Rai o per denunciare la tragedia democratica del Paese senza comunisti al governo, vilipende le vittime di quel massacro: e, se è vero che tutti i mezzi sono buoni per provare a fermalo, è vero altrettanto che rivestirli di simboli inappropriati può comprometterne l'efficacia. L'uso simbolico di quella canzone tradisce la tempra civile di chi la canta senza perplessità mentre il bastone teocratico spacca le teste di quei giovani, i quali non resistono dalla trincea di un centro sociale o sfilando imbandierati d'arcobaleno.

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