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Giorgio Mulè, Sallusti: un pizzino alla Meloni? Gli elettori non perdonano

Alessandro Sallusti
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Augusta Montaruli, sottosegretaria all’Università di Fratelli d’Italia, si è dimessa ieri dopo che venerdì era diventata definitiva la sua condanna per peculato, una storia di note spese e rimborsi pubblici vecchia di dieci anni, quando lei era consigliera alla Regione Piemonte. Nulla di particolarmente drammatico se Forza Italia, per bocca del vicepresidente della Camera, non avesse provato a girare il coltello nella piaga con una uscita di prima mattina intempestiva e violenta nei confronti degli alleati, battendo sul tempo financo Marco Travaglio e la nota compagnia di giustizialisti: «È una pregiudicata, si dimetta - ha dichiarato alla radio - e non crei imbarazzo al governo».

Ora, detto che Augusta Montaruli aveva già deciso di dimettersi e bene ha fatto a farlo, mi torna difficile capire che cosa stia succedendo dentro Forza Italia. Già, perché io e Giorgio Mulè, già bravo giornalista, siamo stati a lungo in prima linea per ben altre battaglie di principio e civiltà, alcune delle quali hanno riguardato- e non mi pento per nulla - anche l’agibilità politica, compresa quella di una legittima candidatura al Quirinale, del presidente Silvio Berlusconi dopo per l’appunto la sua ingiusta condanna definitiva.

 

 

Non voglio fare paragoni eccessivi, solo capire se il pensiero di Giorgio Mulè è dal (suo) sen fuggito, cosa che può capitare quando si è sotto pressione, o se viceversa la linea e lo stile di Forza Italia sull’argomento siano mutati. Se si trattasse del primo caso amen, gli faccio di auguri di pronta guarigione, nel secondo penso che abbiamo un problema inaspettato che non riguarda solo il governo ma tutta la comunità che da trent’anni segue con passione e affetto il Cavaliere.

Più in generale, trovo legittimo e addirittura utile che Forza Italia non si appiattisca a prescindere sulle posizioni di Fratelli d’Italia, né mi risulta che Giorgia Meloni l’abbia mai preteso. Ma ciò dovrebbe avvenire all’interno di un rapporto di lealtà e rispetto dell’alleato, soprattutto con modi e su temi comprensibili per l’opinione pubblica di riferimento. Ecco, il parere di Giorgio Mulè su Augusta Montaruli non ha queste caratteristiche. Se voleva invece fare capire qualcosa d’altro di ancora indicibile e ha usato un pizzino con destinatario il premier, bè allora sì che ci si dovrebbe preoccupare. Occhio però, che l’elettore certi giochini non li accetta né li perdona.

 

 

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