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Antonio Tajani gela Elly Schlein: "Perde voti. E infatti vengono da noi..."

Fausto Carioti
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Antonio Tajani aspetta Silvio Berlusconi. Alla convention azzurra che si terrà il 5 e il 6 maggio a Milano, il fondatore farà sentire la propria voce. «La sua salute sta gradualmente migliorando, sono giorni che ogni bollettino medico ci riempie di gioia. Per non affaticarlo aspettiamo che ci chiami lui, ma contiamo di averlo con noi, venerdì e sabato, nel modo che sarà più opportuno per lui». Oltre ad essere coordinatore di Forza Italia, vicepremier e ministro degli Esteri, Tajani è l’italiano che meglio conosce le istituzioni politiche europee. «Io non vedo ostilità contro l’Italia», spiega a Libero. «Siamo un Paese fondatore della Ue, non si può prescindere da noi. Essere ostili all’Italia significa fare un danno all’Europa».

Eppure, ministro, Bruxelles e i Paesi “rigoristi” come la Germania hanno ricominciato a chiedere politiche di bilancio rigide. Non sono previste deroghe nemmeno per gli investimenti militari, o legati alla transizione ecologica o al Pnrr. Aggiungiamo l’emendamento approvato dal parlamento europeo, che accusa l’Italia di avere politiche “anti-gender”, e la nomina di Luigi Di Maio a inviato della Ue per il Golfo persico, che non è stata concordata con voi. Cosa sta succedendo?
«Alcune di queste cose non hanno alcun peso politico reale. Quel voto del parlamento europeo, ad esempio, lascia il tempo che trova: non è certo un emendamento ad un documento senza alcun effetto legislativo che può definire la posizione della Ue sull’Italia».

La nuova versione del Patto di stabilità, severa nei confronti degli Stati ad alto debito come il nostro, vi soddisfa?
«No, anche se rappresenta un miglioramento rispetto a quella precedente. Non possiamo accettare politiche rigoriste, perché non sono nell’interesse della nostra economia reale. Ridurre il debito pubblico è necessario, ma l’Italia sta già andando nella direzione giusta: se siamo il Paese che cresce di più in Europa, ed abbiamo lo spread basso, è perché la nostra politica economica funziona. Poi è ovvio che ogni Stato abbia i propri interessi: tocca a noi svolgere un ruolo da protagonisti e raggiungere una sintesi buona per tutti. Per questo stiamo trattando e trovando interlocutori tra i Paesi che hanno una visione analoga alla nostra».


Tra un anno si voterà per il rinnovo del parlamento europeo. Il disegno di Manfred Weber, presidente del Ppe, è cambiare la maggioranza nella prossima legislatura, lasciando fuori i socialisti e stringendo un accordo con i conservatori capitanati da Giorgia Meloni. Per la Ue sarebbe un ribaltamento epocale. Lei ci crede?
«L’alternanza è necessaria anche a livello europeo, lo dico da sempre. Io stesso, nel 2017, fui eletto presidente del parlamento Ue, sconfiggendo il candidato socialista proprio grazie ad una maggioranza composta da popolari, liberali e conservatori. È la formula giusta: si può fare e c’è già quel precedente».

Serviranno i “liberal” di Renew Europe, inclusi gli europarlamentari di Matteo Renzi e Carlo Calenda, che però sono tra coloro che hanno presentato e votato quell’emendamento contro l’Italia. Come pensate di convincerli?
«Si tratta di un’operazione politica da costruire, occorre lavorarci e vedere quali numeri usciranno dalle urne. Bisognerà vedere anche cosa ne penseranno Renzi e Calenda: vorranno andare con i popolari europei oppure con i socialisti, i verdi e comunisti?».


Dovrete trattare con loro.
«Lavoreremo per trovare un accordo e dialogheremo anche con loro, certo. L’Europa non è la fotocopia dell’Italia e gli europarlamentari italiani del gruppo liberal potranno svolgere un ruolo importante. In ogni caso il Partito popolare europeo resterà centrale. Nessuna maggioranza può essere fatta senza il Ppe».

Alle Europee i partiti del centrodestra si presenteranno comunque in competizione, perché così consiglia di fare quel sistema elettorale. In che modo voi di Forza Italia vi differenzierete dai vostri alleati?
«Ciò che conta non è la gara all’interno del centrodestra, ma avere un disegno politico con un minimo comun denominatore. Ognuno di noi appartiene ad una famiglia europea diversa.
Forza Italia sta nel Ppe ed è il ee centro del centrodestra italiano: siamo un partito liberale, garantista, riformista e cattolico. Il nostro compito, quindi, è occupare lo spazio politico dal quale la sinistra si sta ritirando».

Credete che l’arrivo di Elly Schlein alla guida del Pd vi farà guadagnare elettori?
«Il Pd è passato da un ex democristiano a una che viene dalla sinistra del partito democratico, e io non credo che gli elettori ex democristiani o ex socialisti si ritrovino nelle posizioni assunte dalla segreteria Schlein. Forza Italia, il centro del centrodestra, è ormai anche il centro del centrosinistra. Non lo dico per polemica, sto solo fotografando la situazione».


Sondaggi alla mano, il Pd qualche punto lo sta conquistando.
«Togliendolo ai Cinque Stelle, non recuperandolo al centro. Oggi il Pd non rappresenta più il centro del centrosinistra, ma solo la sinistra. Lo confermano gli esponenti moderati che lo abbandonano, per entrare in Forza Italia, come fatto Caterina Chinnici, o per andare altrove».

Dovevano farlo Renzi e Calenda, il centro del centrosinistra.
«Il terzo polo non è mai stato un progetto politico. Era un’operazione elettorale e si è conclusa nel modo che abbiamo visto. Non può esistere un centro alternativo a Forza Italia, è dal 1994 che lo ripetiamo. Regolarmente salta fuori qualcuno che dice che non è così, ma finisce sempre per dimostrare che abbiamo ragione noi. Anche adesso i sondaggi ci danno in crescita, da ultimo quello pubblicato sabato da Repubblica».

Vi aspettate altri ingressi, dopo quello della Chinnici?
«Ci sono discussioni in corso. Le nostre porte sono aperte, ma non a tutti. Vogliamo persone di qualità e che credano nel nostro progetto. Possono anche venire da altre parti: che uno cambi idea ci sta, purché non lo faccia ogni cinque minuti. Forza Italia non è un taxi».

Venerdì e sabato, a Milano, vi riunirete in convention. Che senso ha per il vostro partito, in un momento come questo?
«Il senso è innanzitutto quello di rivendicare il nostro ruolo all’interno del governo, e infatti ci saranno panel che riguarderanno ognuno dei nostri ministri. L’appartenenza al Ppe sarà un tema centrale: interverranno in video Roberta Metsola, presidente del parlamento Ue, e Weber. Ci saranno il mondo delle imprese, presente anche l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, e il mondo dello sport, con nomi importanti. Ascolteremo le testimonianze sulla lotta alla mafia di Rita Dalla Chiesa e Caterina Chinnici. Ad aprire la sessione di venerdì pomeriggio saranno cinquecento giovani, perché vogliamo che i nostri trent’anni di storia siano un trampolino verso il futuro. E aspettiamo Berlusconi, nel modo in cui decideranno i medici». A proposito di futuro: in vista delle elezioni politiche, previste tra quattro anni, il partito unico del centrodestra è un obiettivo o solo una possibilità? «È un sogno. Berlusconi ha sempre sognato di fare il partito repubblicano italiano, sul modello di quello statunitense, all’interno di un sistema bipolare perfetto. Il nostro essere seri, leali e responsabili ci consente di avere ottimi rapporti sia con Giorgia Meloni che con Matteo Salvini. Vedremo cosa diranno anche loro, di questo sogno. Intanto lavoriamo su Forza Italia e sulla nostra identità, alla quale non rinunciamo». 

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